5 maggio 2024

Storie de 'na vòolta - bumbunìin, bugàada e cavaleer. I racconti di Ognissanti. Guarda il video

Eccoci con la quarta ed ultima puntata delle 'Stòorie de 'na vòolta' (vedi video sotto) raccolte e raccontate da Ferruccio Boari, nato e cresciuto proprio ad Ognissanti e proprio dentro quella che fu l'Osteria del Cavallo Bianco, luogo di ritrovo della comunità locale oltre che bottega e unico forno del circondario.

Tra quelle mura è passata la storia di Ognissanti e della sua gente, che Ferruccio ricorda con grande precisione e che ha trascritto a penna in dialetto sul suo prezioso quadernetto di appunti, dove sono riportate anche tutta una serie di attività tradizionali e ricorrenti della vita quotidiana, quando non era ancora fatta di comodità e di agi e dove tutto era più laborioso e spesso faticoso.

I bumbunìin, le storie in cortile e 'la vecia' che veniva bruciata tra scodelle di vino e canti dei bambini

Scopriamo così la tradizione dei 'bumbunìin, i biscotti fatti dalle mamme e dalle nonne in periodo di carnevale (che iniziava per S. Antonio al 17 gennaio e terminava col martedì di carnevale, prime del mercoledì delle ceneri): una sorta di pasta frolla fatta con farina, rossi d'uovo e strutto, spesso con dentro la scorza di limone grattugiata e anice per dare più sapore, stesi a mano e ritagliati con stampini di diverse forme per renderli più allegri. Poi era usanza metterli in una cesta ancora crudi e portarli al forno dei Boari per farli cuocere. E così ogni pomeriggio arrivavano mamme e nonne con la 'cavagna' di biscotti e al seguito 'na sburlada' figli e nipoti, che si riunivano nel cortile a giocare ed ascoltare le storie della Santa Gambarotti (leggi qui l'articolo) in attesa di poter finalmente sgranocchiare uno o due bombonini appena sfornati, ancora caldi e profumati.  Un giorno particolare invece era dedicato esclusivamente alla cottura dei bombonini delle 'padrone', che arrivavano accompagnate dalle loro cameriere, ma che evidentemente non si mischiavano con le altre donne.

Poi il giorno di carnevale era usanza che i bambini andassero casa per casa mascherati a raccogliere qualche dolcetto, bombonini, ossetti o 'bariculiìn', insomma qualcosa di dolce che a quei tempi non era così frequente nella dieta della gente comune. 

Legato al carnevale era poi tradizione bruciare 'la vecia', il falò fatto con le fascine raccolte nei campi e alla sera era festa grande davanti al fuoco, con scodelle di vino per gli uomini e tanto divertimento per i più piccoli prima dell'inizio della quaresima.

Dopo Pasqua, che 'bugàada'!

Un'altra attività ricorrente, meno divertente e più faticosa dei bumbunìin, era sicuramente la 'bugàada' ossia il bucato. Certo oggi non ci si pensa nemmeno, la biancheria va in lavatrice e l'unico impegno è quello di mettere il detersivo e schiacciare il pulsante. Lavata ed asciugata, una stiratina con un ferro a vapore leggero e scorrevole e il bucato è pronto. Ma i nostri nonni non avevano lavatrici, asciugatrici e stirelle a disposizione e fare il bucato era un lavoraccio: la biancheria veniva accumulata durante l'inverno, quando non poteva essere lavata perchè non c'era modo poi di farla asciugare. Arrivava quindi aprile, solitamente ventoso, e si poteva finalmente iniziare a lavare lenzuola, biancheria ed i vestiti che nel frattempo erano diventati molto sporchi.

Il detersivo si faceva con la cenere setacciata e qualche scaglia di sapone fatto in casa, in grandi tinozze di acqua fatta bollire sul camino, dove finivano poi tutti i panni da sfregandoli, lavandoli e spazzolandoli lasciandoli riposare finchè non diventavano puliti. L'attività coinvolgeva tutti, donne e bambini ed iniziava presto la mattina. Poi si stendevano sotto il portico, al riparo, per asciugare. Infine la stiratura con pesanti ferri fatti scaldare direttamente sulla stufa o con le braci che contenevano al loro interno. Un'attività che durava 3 o 4 giorni anche. Non per niente ancora oggi, per un'attività lunga, laboriosa e faticosa si dice 'ma che bugàada!'

La seta: dai cavaleer alla filatura

Infine un'attività oggi persa era quella dell'allevamento dei 'cavaleer', ossia dei bachi da seta, che avveniva rigorosamente in casa. Il 25 aprile, San Marco, era tradizione andare a raccogliere la 'foia', ossia le foglie dei gelsi

Venivano allevati in casa, su apposite strutture dove venivano allevati con gradne cura i bachi per fare in modo che facessero il bozzolo da cui poi veniva filata la preziosa seta che poi veniva venduta dalle donne permettendogli di portare a casa un po' di soldi che a quei tempi erano sempre indispensabili per la vita domestica.

Un mondo oggi ormai passato e perso, che però trova vita nelle memorie che Ferruccio ha deciso di mettere nero su bianco e che noi abbiamo deciso di raccogliere per tramandare questi spaccati di vita quotidiana dei piccoli borghi di campagna (4-fine).

 

Le foto di Ognissanti sono ancora una volta imputabili al dito indice di Lilluccio Bartoli

 

Michela Garatti


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commenti


Pinotti luigi

5 maggio 2024 16:44

Bravissimo Ferruccio queste testimonianze mi fanno ritornare ai miei tempi, che con piacere mi fanno rivivere........