7 febbraio 2022

Anche l'Accademia della cucina Veneziana riconosce che le frittelle hanno origini cremonesi. La ricetta

E' tornato il carnevale. Nelle fornerie e pasticcerie della città e di tutta la provincia sono tornati i dolci di Carnevale: frittelle, chiacchiere e camàandoi. Per tutti le frittelle sono dolci veneziani, nelle pasticcerie lungo i canali, nelle vetrine delle fornerie dei calli se ne vedono di tutti i tipi: lisce, con lo zabaione, con le mele, con la crema pasticcera. Ma non tutti sanno che, come per il torrone o i marubini, anche le frittelle hanno origini cremonesi. L' Accademia della cucina veneziana lo ha certificato. La frittella, la fritùla in veneziano ma anche in cremonese, è stata portata in laguna da Giambonino da Cremona, medico e studioso di fine 1200. Nel 1262 è rettore all'Università di Padova della facoltà di fisica e scienze naturali. Cremona era la capitale delle traduzioni dei libri dall'arabo. Giambonino, forse originario di Gazzo di Pieve San Giacomo sulla via Postumia, aveva composto a Venezia un libro, “Liber de Ferculis ed condiments”, traduzione latina di 83 delle 2170 voci della monumentale enciclopedia dietetico-gastonomica del medico iracheno Ibn Jazla di Baghdad. Ebbene secondo i veneziani la frittella sarebbe l'evoluzione della “zelabia” araba persiana fatta conoscere ai veneziani da Giambonino da Cremona e in laguna si innamorarono subito del dolce di carnevale, tanto che i “fritoleri” nel Seicento crearono persino una corporazione (un centinaio di iscritti), tramandando i segreti del fritto di padre in figlio, veri e propri maestri dell'olio.

Forse Giambonino, l'inventore della frittella e probabilmente anche colui che ha importato in Valle Padana i “marubini” e il torrone dalla tradizione araba, nella sua Cremona almeno una via, una strada la meriterebbe. (s.m.)

Le frittelle a Cremona sono da tempo memorabile le "fritule dolci" che secondo il dizionario del Peri, si friggono nello strutto (sònza) o nell'olio e sono a base di farina impastata anticamente anche con mela (fritule de' poumm) o riso o vermicelli e hanno la forma sferoidale della polpetta (con la stessa ricetta e il riso invece si prepara la torta bertulina). La lontana Injera di origini africane diventa Crescentina a Napoli e S'ciounféera o s'ciounféen a Cremona: " frittella che cuocesi in olio, burro, istrutto (sònza) che nel cuocere cresce in altezza e si gonfia".

Le frittelle tipiche del piacentino, appena dopo il ponte, sono chiamate "torta fritta", sono salate e  hanno forma diversa che deriva dalla sfoglia di base che si gonfica durante la frittura. Al di qua del Po la torta fritta piacentina addolcita con zucchero ed arricchita con uova diventa ("Latùuga") che in altre zone della pianura assume le più svariate denominazioni (chiacchiera. bugia ecc...). Pensate che la ricetta della lattuga è già citata dal Platina nel suo "De honesta voluptade et valetudine". E chiama le lattughe "frittelle di vento". Mai nome fu più azzeccato. (g.m.)

La ricetta delle "Fritule"

INGREDIENTI: 500 grammi di farina, 60 grammi di zucchero, 8 uova, mezzo litro di acqua, un po' di sale, un cucchiaio di rhum, zucchero a velo

Con la farina, il burro, lo zucchero e l'acqua si fa una polentina che si farà cuocere per 5 minuti circa. Si lascia raffreddare e poi, una alla volta, si aggiugono le uova. Si mescola a lungo e si lascia riposare per un'ora. Si dà un'ultima rimescolata e poi si getta il composto a cucchiaini nell'olio o nello strutto bollente, badando però di non tenere la fiamma troppo alta.


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