27 novembre 2021

Al Mart di Rovereto la grande mostra su Alceo Dossena. Realizzata a Cremona avrebbe avuto maggior fascino

ROVERETO- Un centinaio di opere provenienti da collezioni pubbliche e private e persino il confronto con “falsi” recenti: le celebri teste di Modigliani realizzate dallo scultore Angelo Froglia e alcuni dipinti di Lino Frongia copie dell'antico. Così al Mart di Rovereto, da un'idea di Vittorio Sgarbi e a cura di Dario del Bufalo e Marco Horak, si rende omaggio a un grande cremonese: Alceo Dossena definito “autentico falsario” dai curatori “che diede vita a una ricchissima produzione di opere scultoree realizzate nello stile e con le tecniche dei maestri antichi e rinascimentali”.

La mostra è un omaggio ad un grande artista e raggruppa, per la prima volta, la vasta produzione dello scultore. Diverse opere provengono dalla collezione Cavallini-Sgarbi ma sono esposte anche due splendide statue provenienti dal Museo Civico di Cremona: Santa Caterina da Siena e Sant'Agnese donate dagli Amici del Museo su iniziativa di Lidia Azzolini che per prima studiò a fondo l'opera dello scultore. Tante statue, terrecotte ma anche bronzi come il Sant'Antonio da Padova, la Madonna con bambino dei Musei Civici di Pescia, una straordinaria Pietà ed anche i ritratti di Giuseppe Verdi o la Madonna dell'Uva. Imperdibile il marmo della Natività con i Magi della collezione romana di Dario Del Bufalo con ben 15 personaggi raffigurati. Ed ancora il San Giovannino del Museo Civico di Cremona o l'incredibile Volto femminile scolpito negli anni Trenta in avorio, alabastro e base in marmo. Ed ancora tantissime “Madonna con bambino” (marmi e terrecotte): Ave Maria, Mater Dei, Mater dulcissima e altro.

La mostra ha un catalogo davvero completo nel quale figurano anche gli scritti dei cremonesi Marco Tanzi e Rodolfo Bona.

Da non perdere la ricostruzione dello studio dello scultore immortalato in un documentario del 1929. Una testimonianza dello studio (non presente in mostra) è stata lasciata dal nipote Ercole Priori, anche lui grande scultore cremonese, che nel 1936 aveva fatto alcuni schizzi mentre imparava la scultura nello studio dello zio in via Margutta e che presentiamo nella serie di fotografie. Un anno dopo, l'11 ottobre del 1937, Alceo Dossena spirava in una anonima corsia dell'ospedale San Giacomo di Roma. Era stato uno dei più brillanti artisti della Cremona degli anni Venti ed era assurto a notorietà internazionale grazie alla sua irripetibile capacità di produrre opere di qualunque secolo e qualunque stile, facilmente attribuibili agli scultori più famosi. Le sue sculture avevano annichilito e tratto in inganno i più famosi critici d'arte ed antiquari, collezionisti ed esperti. I musei di mezzo mondo si erano accaparrati le sue creazioni contendendosi a suon di migliaia di dollari capolavori “autentici” usciti dalla sua povera bottega romana ma di volta in volta attribuiti a Donatello, Simone Martini, al Vecchietta, a Mino da Fiesole a Giovanni Pisano o addirittura al Canova come la testa di Maria Luigia esposta in mostra.

Solo nel 1928 il gigantesco imbroglio di cui lo scultore cremonese era stato vittima, più che autore, venne alla luce. Un gioielliere e antiquario romano, tale Fasoli, che aveva avuto occasione di acquistare una madonnina da un oste al quale Dossena l'aveva ceduta in cambio di un piccolo prestito, aveva intuito le grandi capacità dello scultore e l'aveva convinto a lavorare in esclusiva per lui, pagandogli anche l'affitto dello studio. Gli commissionò una grande quantità di statue che avrebbero dovuto essere collocate in una maestosa immaginaria cattedrale del Sud America da costruire in stile rinascimentale italiano e che, pertanto, dovevano avere la patina e il sapore dell'antico.

Quando scoppiò lo scandalo, Dossena, che mai aveva sospettato quale commercio si facesse con le sue opere, trovò un aiuto insperato nei cremonesi i quali fecero intervenire come suo difensore nel processo nientemeno che Farinacci. Lo scultore venne scagionato e la sentenza fu che tutti i possessori di opere di Alceo Dossena, privati, musei, antiquari, vennero invitati a modificare le firme e le attribuzioni.

Oltre alla grande capacità artistica e alla sua rapidità esecutiva non nel copiare un'opera ma di utilizzare la mano e lo stile dell'artista da imitare per creare opere nuove, Dossena resta inimitabile (con l'aiuto forse della chimica) nell'antichizzare le opere con patine del tempo e rotture ed il suo segreto resta tutto da spiegare, come dice nel catalogo Dario Del Bufalo che non crede però alla buona fede di Dossena.

La grande mostra di Alceo Dossena al Mart, come proposto a suo tempo da Vittorio Sgarbi, avrebbe dovuto tenersi a Cremona. E proprio la città del Torrazzo manca nella mostra di Rovereto. Manca l'humus nel quale l'arte di Dossena è nata, manca la scuola d'arte dell'Apc (l'archivio della scuola possiede ancora i disegni dei grandi artisti del Novecento che l'hanno frequentata e mai esposti), manca la Cremona d'inizio '900 con i grande scultori (Monti dove imparò i primi rudumenti della scultura, Seleroni, Guindani, e poi i nipoti Ruffini e Priori, Coppetti), manca l'ambiente della prima truffa di cui fu vittima lo stesso Dossena perpetrata proprio a Cremona.

In quegli anni i musei americani erano ricchi di dollari e acquistarono di tutto sui mercati europei. Oggetto della prima truffa fu proprio un camino di Gaspare Pedone, artista luganese che aveva soggiornato a lungo a Cremona. A Palazzo Raimondi esistevano un tempo due splendidi camini opera di Pedone: uno si trova oggi nella Sala Giunta del Municipio di Cremona, l'altro nel castello Biandrà-Trecchi di Maleo. Venne fatta circolare la voce che ve ne fosse un terzo nelle cantine del Palazzo, nella sala del bucato. Dossena abitava a Parma da un paio d'anni quindi nulla sapeva della voce di un terzo camino. A lui venne commissionato un camino in stile Pedone non identico a quello della Sala Giunta ma nello stesso stile. In poche settimane Dossena lo terminò. Poi venne portato segretamente nelle cantine di Palazzo Raimondi, mostrato ai mercanti americani che pagarono il prezzo esorbitante di 23mila lire. Al posto del monumentale camino venne realizzato un calco in gesso per tacitare la soprintendenza che autorizzò l'asportazione. Poche lire finirono al Dossena. Il camino fino al 1928 figurò al Metropolitan di New York come opera autentica di Gaspare Pedone. Tante altre opere del Dossena finirono nei musei americani.

La mostra rende dunque giustizia alla grande arte dello scultore cremonese. Realizzarla e contestualizzarla nella sua Cremona le avrebbe conferito certamente un fascino maggiore.

La ricostruzione dello studio di Alceo Dossena, i disegni di Priori realizzati in via Margutta e alcune opere in mostra

 

M.S.


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