10 aprile 2024

Al Museo del Violino il progetto "Pensieri e Parole" con Peppe Servillo e la sua sensazionale band in scena per la Giorgio Conti. Sonorità latine e magnetismo teatrale per una serata di grande musica

Non è mai facile affrontare un repertorio come quello di Lucio Battisti, e soprattutto non si può pensare ad un confronto. E’ chiaro però che con un quintetto di all stars del jazz e un front-man d’eccezione, il compito è sicuramente più agevole.

E’ Peppe Servillo che ha avuto l’onore e l’onere di portare in scena il progetto “Pensieri e Parole”, dedicato alle opere del cantautore e compositore di Poggio Bustone. Lo spettacolo si è svolto martedì sera all’Auditorium Arvedi, promosso dall’Associazione “Giorgio Conti”, che proprio in questi giorni si è trasformata in Fondazione. E per celebrare questo passaggio fondamentale hanno avuto l’idea dell’evento musicale, a supporto del loro grande impegno nella realtà cremonese.

Dopo l’introduzione di Roberto Codazzi, direttore artistico di Cremona Jazz, che partirà tra poco, la parola è passata al consigliere della Fondazione, Carlo Conti, che ha brevemente spiegato i prossimi impegni della Fondazione.

Poi la scena è passata subito a Servillo e ai suoi compagni d’avventura, ovvero Javier Girotto, ai sassofoni e arrangiamenti, Fabrizio Bosso alla tromba e Rita Marcotulli, già avvezzi alle collaborazioni e interazioni con la musica d’autore, con Cammariere e Mario Biondi il primo, e con Pino Daniele la pianista. Completavano il sestetto la sezione ritmica composta da Furio di Castri al contrabbasso e Mattia Barbieri alla batteria.

Gli arrangiamenti dell’argentino Girotto, naturalizzato italiano, virano decisamente su sonorità latine e l’iniziale “I giardini di marzo” ne è intrisa. L’interpretazione quasi drammatica di Peppe la rende subito una calamita di attenzione, grazie al suo magnetismo teatrale che subito affascina e travolge la platea.

Anche la seguente “Amarsi un po’“ viene stravolta dall’originale, assumendo un ritmo sincopato, ma decisamente ammaliante. Ma è con “Il nostro caro angelo” che ci rendiamo ancora conto a distanza di anni della grandezza del binomio Mogol-Battisti. Un testo che confrontato con quelli di oggi grida vendetta, ma ogni tempo ha le sue varianti. Permetteteci di dire che negli anni settanta si era già molto avanti e i testi e le musiche sono di una modernità disarmante.

Un'introduzione in solitaria di Furio di Castri al contrabbasso ci introduce in una versione magistrale di “Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi”, dove l’istrione napoletano si prende la scena contrappuntato dai due fiati che dialogano in sincrono e gli applausi non si sprecano.

Dopo la parentesi di “Il leone e la gallina” e un'ncursione del periodo Panella, il secondo paroliere di Battisti, si arriva alle vette più alte del concerto: E parliamo di emozioni, non soltanto per il titolo della canzone. Rita Marcotulli ci ricorda di essere una magnifica pianista jazz, apprezzatissima in tutto il mondo e la sua introduzione ci spiega con una naturalità assoluta che solo il jazz è in grado di ribaltare completamente l’essenza di una melodia, reinventandola. Se poi aggiungiamo la voce di Servillo, il gioco è fatto. E’ lui che trasmette il pathos, in un crescendo da corrida, si aspetta sempre la stoccata finale come in “Pensieri e Parole” oppure in “Il mio canto libero”, dove la parte strumentale viene esaltata e diventa la vera protagonista.

Il gran finale è affidato a due gioielli del Battisti prima maniera, “La collina dei ciliegi” in stile latin-jazz e “E penso a te”, uno dei suoi indiscussi cavalli di battaglia, con Servillo che chiede ed ottiene l’aiuto del pubblico che in coro, quasi sottovoce, termina questa grande serata musicale.

foto Gianpaolo Guarneri/Studio B12

Emilio Palanti


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