8 settembre 2021

Ubaldo Ferrari e Cesare Balestreri, storie diverse ma avversari del “Ras” di Cremona

Scorrendo le vite di Ubaldo Ferrari (1893-1936) e Cesare Balestreri (1879-1932), non si può fare a meno di pensare alle tante somiglianze delle loro esistenze, che sembrano echeggiare le più famose “Vite parallele” di Plutarco. Cattolico il primo, fondatore e dirigente del Partito Popolare Italiano a Cremona, militante nelle lotte contadine a fianco di Guido Miglioli; squadrista della prima ora, console della Milizia e sostenitore di Roberto Farinacci il secondo, col quale tuttavia finì per scontrarsi. Sia l’uno che l’altro venivano da famiglie di agiati agricoltori cremonesi e per quasi vent’anni abitarono a pochi chilometri di distanza; a Ossalengo il Balestreri, oggi minuscolo agglomerato di cascine, allora appartenente al comune di Tredossi. Il Ferrari nella Cascina omonima, dove ora c’è la biblioteca e l’Auditorium “Agorà”, a Castagnino Secco (dal 1957 Castelverde). 

Convinta la partecipazione di entrambi alla Grande Guerra, che li portò sul Carso e a ricevere una medaglia d’argento al valor militare Ubaldo, per il suo coraggio nella ritirata di Caporetto e nella controffensiva del Piave; una croce al merito di guerra, Cesare. Ma come parlano della guerra? In maniera quasi simile. Con un poco di ironia, pur in momenti tragici, S’ode a destra uno squillo di tromba… potremmo scrivere: “Alla sera dopo aver mangiato il rancio parto cogli ufficiali del genio … facciamo un po' di chilometri a piedi, passiamo l'Indrio, che qui è molto piccolo, e saliamo il monte Corrada dove vi sono piazzate parecchie batterie di grosso calibro e da lì osserviamo questo immenso spettacolo – razzi luminosi – riflettori – e il lampeggiare delle terribili bocche da fuoco ed il scintillare dei proiettili quando scoppiano, insomma tutta una cosa orribile e rovinosa ma soddisfacente e gustosa per chi ama la patria e odia il nemico”. (Cesare al fratello Ettore, 10-8-1916).

Come un eco, A sinistra risponde uno squillo, ma in una prosa più elegante: “Ha ripigliato il bombardamento. Colpi radi seguono, dopo un breve silenzio tragico, le batterie d'infilata, a tratto a tratto, in pieno giorno, una vampata di bombarda rompe il grigiore del Carso, l’infuriare de' colpi ha somiglianza di un brontolìo di terremoto, cupo, sordo, lungo, trepidante…  La notte, lo spettacolo diviene fantastico. Immaginatevi un cielo di fuoco. Le  granate che scoppiano al suolo, gli shrapners che scoppiano in aria con una chiarezza vermiglia avida di sangue; le luci che salgono, che brillano che scendono, come stelle cadenti, rosee, candide, verdi, dei razzi; le luci inquiete, irrequiete, investigatrici, scrutatrici, inesorabili, implacabili, bianchissime, dei riflettori... Tutte cercano, l'uomo nella notte, e per la notte”. (Ubaldo, “Ricordi e testimonianze di guerra”, Natale 1916).

Diverso invece, in questi scritti di guerra, l’atteggiamento umano di fondo. L'orribile carneficina della battaglia viene definita da Balestreri “soddisfacente e gustosa”. Assiste ad uno “spettacolo barbaro e selvaggio”, “inebriante in modo superlativo”, “orgia di ferro e di fuoco contro l'esistenza umana”, che lo può “saziare”. Diversi il tono, gli accenti, le scelte lessicali di Ferrari, che pure sembra descrivere le stesse scene. Egli si attarda a narrare episodi di solidarietà nella truppa, di affettuosa comunicazione tra la gente più umile e povera, colta ad esempio nel momento di arrivo della posta, nella quale si trovano preziosi anche degli “sgorbi” dei bambini e le “tremule illeggibili frasi” dei vecchi genitori.

Ubaldo e Cesare, dopo la guerra, andarono con le famiglie in città. Nel periodo difficile e per molti aspetti tragico del primo dopoguerra, parteciparono in prima persona alle lotte sociali e politiche che portarono alla vittoria del fascismo. Cesare Balestreri convinto sostenitore degli agrari a fianco di Farinacci, invece Ubaldo Ferrari impegnato nel sindacalismo cattolico. 

Così viene presentato Cesare Balestreri alla fine degli anni ‘20: “Nato da famiglia di agricoltori sino a pochi anni fa era conduttore di fondi. Ne fu distratto quando la ragione politica delle cose lo chiamava in prima fila al posto di combattimento contro il disordine sociale che minacciava di distruggere tutti i progressi realizzati dall’agricoltura cremonese. Ma passato il periodo della lotta, nella quale egli diede tutto, rischiando anche la vita, senza chiedere mai nulla, desiderando di rimanere nell’ombra, il comm. Balestreri fu tra i primi a proclamare nel Cremonese, la necessità di dare nuovo impulso alle forze economiche per accrescere la produzione. Fu così nominato prima Presidente del Consorzio agrario, poi Presidente della Commissione per la battaglia del grano nella Provincia di Cremona. Né si può dimenticare, ricordando l’opera e la attività del comm. Balestreri, quale capo delle Istituzioni agrarie di Cremona, il grandioso successo conseguito dalle mostre agricolo zootecniche del 1923 e 1925 con l’intervento di S. M. il Re e di S. E, Beluzzo” (Una scuola di agricoltura a Cremona nell’artistico palazzo degli Stanga, in “Giornale dell’agricoltura della Domenica” del 1928).

Abilmente, nell’articolo non si fa cenno al fatto che si era scontrato con Farinacci, il quale, da vero padrone di Cremona e delle sue istituzioni, anche della Prefettura e del Tribunale, cercò di rovinarlo, facendolo processare e poi espellere dal P.N.F. per risibili motivi, anche se le divergenze politiche tra loro erano state molto serie (si vedano gli studi di Armando Parlato e di Giuseppe Azzoni). Ma l’articolo senza volerlo mette in luce il motivo di fondo del dissenso Farinacci-Balestreri: diverse visioni sull’interesse degli agricoltori. 

L’orizzonte economico e politico di Cesare era e resterà sempre l’economia agraria. Tra l’altro fu lui a guidare di persona Vittorio Emanuele III nella visita alla Mostra zootecnica del 1925, come testimoniano le immagini fotografiche dell’epoca. Tutta la famiglia Balestreri intorno a lui – i fratelli Giovanni, podestà di Isola Dovarese, Ettore, sindaco e podestà di Tredossi-Castelverde, Geremia, Luigi – avevano militato nello squadrismo e si erano impegnati nelle lotte contro il proletariato agricolo, organizzato sia dai socialisti e comunisti, sia dai migliolini – ma non avevano certo mire “romane”. Al contrario di Farinacci, che durante la crisi seguita all’assassinio Matteotti, era diventato segretario del P.N.F e non pensava certo a ritirarsi nel suo feudo cremonese. Da qui il suo sotterraneo scontro col Duce, il quale tacitamente cercava di appoggiare esponenti del Partito per mettere in minoranza il suo antagonista.

Nonostante il debito di riconoscenza morale e politica che legava Farinacci a Balestreri, il Ras con straordinaria spregiudicatezza lo minaccia e lo vuole degradare pubblicamente. Eppure Cesare l’aveva sostenuto nelle spedizioni punitive contro le roccaforti “rosse”, aveva guidato la squadra d’azione “Lupi di Farinacci”. Aveva concesso a Farinacci un locale in via Anguissola per collocarvi la stamperia che pubblicò il suo primo giornale “La voce del popolo… sovrano” (genn.1920). Divenne poi il maggiore azionista della Società Anonima Giornale “Cremona Nuova” nel 1922, con 266 azioni, pari a L.133.000. Farinacci invece ne possedeva solo 10. Ma quando questi si vide minacciato, prima scatena i suoi “picchiatori” – Cesare, pur difeso dal fratello Geremia, in Piazza Roma, davanti al Credito Italiano, ricevette 10 bastonate da tre squadristi – poi lo sottopose a una pressione sempre più forte. 

L’occasione per rovinare Cesare Balestreri fu data da un incidente in via Mantova all’altezza di S. Marino, il 10 agosto del 1927. Stando alla testimonianza dei CC, una macchina proveniente da Isola Dovarese in direzione Cremona, procedendo a folle velocità, sbandava e investiva sulla destra un cavallo guidato a piedi dal carabiniere Maraschin, che rimase sotto l’animale. L’altro milite, brigadiere Carlesso, volle inseguire la macchina, ma dovette desistere in quanto anche il suo cavallo in seguito ad uno scarto cadde. Per l’oscurità e la polvere, non si poté leggere la targa dell’auto, chiusa di color nero, ma si affermò che sicuramente alla guida c’era Cesare Balestreri, che in seguito fu condannato dal Pretore ad un’ammenda di L.1.200 e al ritiro della patente per un anno. Farinacci sfruttò questa risibile farsa, favorendo l’espulsione del suo rivale dal Partito per indegnità morale, facendo anche decadere la sua carica di Console della XVII Legione. “Il Regime Fascista”, il giornale di Farinacci, lo denigrò ulteriormente, in quanto, pur condannato, “ripetutamente [ha] data la sua parola d’onore e giurato sulle cose più sacre di non aver commesso il reato imputatogli, e ciò alla presenza di autorità governative e fasciste”. La personale difesa interpretata come la colpa più grave! Proprio un “avvocato del diavolo”, questo Farinacci.

Più lineare è la vicenda che coinvolse Ubaldo Ferrari. Questi, a guerra finita, conobbe influenti personaggi politici nazionali del PPI: don Luigi Sturzo, Giovanni Gronchi, futuro Presidente della Repubblica, Giuseppe Donati, politico e giornalista, Filippo Meda, mentre nel Cremonese forte fu il suo legame con Giuseppe Cappi, futuro Presidente della Corte Costituzionale. Nelle elezioni provinciali del 1920 fu eletto, ma qui la sua esperienza fu breve, in quanto Farinacci, dopo aver occupata la città, ottenne lo scioglimento del Consiglio provinciale e gli esponenti più in vista dell’opposizione antifascista, con le loro famiglie, vennero minacciati pesantemente se non si fossero allontanati dalla città. Un vero editto da Far West, con manifesti affissi in tutte le strade, quando gli individui pericolosi erano “banditi”. Avvalendosi dei suoi contatti con la Chiesa, Ubaldo con moglie e due figli, si rifugiò per qualche tempo in Valle Camonica, in un convento di Cappuccini. Poté rientrare in città tempo dopo, dietro la promessa che avrebbe cessato ogni attività politica. Così riprese la sua opera di avvocato, divenendo un importante studioso di diritto, tanto che conseguì, pur non essendo iscritto al PNF, la libera docenza all’Università Statale di Milano in diritto penale, con numerose pubblicazioni, “in cui veniva affrontato il tema della ricerca della verità e delle regole che ne governano l’accertamento” (Matteo Morandi). Come avvocato, tra l’altro trovò come antagonista ancora un volta Roberto Farinacci, in un importante processo penale. 

Dopo gli scontri con il Ras, Ferrari e Balestreri poterono operare per la crescita della comunità cremonese, organizzando l’uno nella sua abitazione di via Bertesi periodiche «domeniche culturali» che, sotto l’apparenza di incontri letterali e musicali, riunivano una piccola élite di spiriti liberali. L’altro invece impegnandosi attivamente, oltre a fortunate attività economiche, alla fondazione dell’Istituto agrario “Stanga”. Entrambi, infine, morirono ancora abbastanza giovani. Ferrari a 43 anni, per un tumore, il 6 febbraio 1936. Balestreri per ulcera duodenale il 20 maggio 1932. Alla sua morte la famiglia ricevette un telegramma dal Duce, che lo ricordava come un bravo e onesto fascista. 

Guardando con distacco le vicende di questi due “avversari” di Roberto Farinacci, il prima e il dopo della loro lotta col capo del fascismo cremonese, non si può non notare il doppio volto del “Ras” di Cremona. Questi fu dominato nella vita da un’ambizione sconfinata, sempre a caccia di medaglie (Wikipedia ne elenca 22). Alcune forse non meritate, come quelle che ottenne nella guerra in Etiopia, dove invece si meritò il nomignolo di “martin pescatore”, per avere perso una mano non in una esercitazione militare, ma andando a pesca con una bomba a mano lanciata per pescare in un laghetto presso Dessié. Scrisse poi Enzo Biagi che, il 31 ottobre 1940, all’inizio dell’invasione “Farinacci dopo una breve escursione in Grecia rientra a Roma e chiede una medaglia d'oro”, mentre si sa che questa avanzata improvvisata si trasformò due giorni dopo, in un disastro completo. Disposto ad abbracciare anche il razzismo e l’antisemitismo nazista pur di trovare sponde tedesche nel suo progetto di sostituire Mussolini. 

Da un lato mostrava al pubblico il volto del “più fascista”, spregiudicato, violento e spietato, verso chi lo contrastava nelle sue smodate mire, disposto a colpire i nemici con ogni mezzo; dall’altro, una volta confermata la sua supremazia e reso sicuro che nessuno l’avrebbe più intralciato, riacquistava il volto del “pater familias” del popolo cremonese. Tollerante, anche per calcolo, nei riguardi dei suoi rivali, tanto che essi continuarono a essere uomini di prestigio nel campo accademico e giuridico l’uno, nel campo delle istituzioni agrarie l’altro. 

Si sa come finì questa vicenda. Il Gerarca in fuga morì a 53 anni (come Balestreri). Le sue 12 valige piene di soldi e di gioielli non riuscirono a salvarlo dai partigiani che volevano la sua pelle. 

E’ proprio vero quanto sentenzia un vecchio proverbio tedesco: “L’ultimo vestito è senza tasche”.

Nelle foto Cesare Balestreri accompagna il re in visita e la foto della famiglia Ferrari (1-Primo Ferrari, 2-Bianca Robbiani in Ferrari, 3-Ubaldo Ferrari, 4-Giannino Ferrari, 5- Teresa Ferrari, 6-Concetta Ferrari, 7- Giacomina Ferrari, 3A- Rachele Cervi (moglie di Ubaldo), 3B- Federico Cristiano Ferrari (figlio di Ubaldo), 4a Francesca Ciboldi (moglie di Giannino), 4b Alberto Ferrari (figlio di Giannino)

Carmine Lazzarini


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