24 ottobre 2021

Bartimeo è guarito dalla cecità perché già vedeva col cuore

Quando tutto sembra perduto, quando l’esistenza si rivela un groviglio di fallimenti, quando la solitudine è la sola compagna di giornate stanche e grigie e il ciglio della strada è il fatale rifugio per gli scartati dalla vita, proprio quando il buio sembra inghiottire tutto si leva una voce: “Gesù è qui!”. E Bartimeo, che aveva abbondato tante speranze, ma non quella di poter scorgere la luce del sole, i colori della natura, i volti degli uomini, ricorda di aver sentito parlare di quel Rabbi capace di parole straordinarie e gesti prodigiosi e inizia a gridare tutta la sua voglia di riscatto! È prostrato, ma non così tanto da chiudersi nella totale apatia.

È strana la sofferenza umana: a qualcuno addolcisce il cuore, scardina i sistemi di difesa, fa cadere maschera e apparenze, apre l’anima alla contemplazione delle cose più piccole e insignificanti, ridimensione la vergogna e il rispetto umano, spalanca alla compassione, induce al cambiamento. Ci sono genitori che dopo aver perso i figli in tenera età dedicano l’intera loro esistenza a sollevare il dolore di tanti essere umani fragili e indifesi: quell’amore che doveva essere riservato al loro piccolo è diventato patrimonio del mondo. La sofferenza li ha condotti alla rivoluzione, alla redenzione.

Viceversa ad altri la sofferenza incattivisce il cuore; rende cinici e rancorosi ed immobilizza la volontà; l’odio diventa una specie di via di ribellione e l’amore un dispetto; Dio viene considerato l’acerrimo nemico sul quale vomitare tutto il proprio livore: “Perché se ci ama può permettere che peniamo così tanto?”. In questo caso la sofferenza è già l’anticamera della morte.

Bartimeo vive il suo carico di dolore, ma non si lascia pietrificare da esso, nel suo animo cova ancora un barlume di speranza: qualcosa, tutto può cambiare! Egli non solo è un povero costretto a mendicare, ma, come tutti i “disabili” del tempo è un emarginato dalla società: per i pii ebrei, infatti, le menomazioni fisiche o le malattie erano considerate le giuste punizioni per i peccati commessi dalla persona stessa o addirittura dai propri genitori. Bartimeo vive una doppia ingiustizia: l’indigenza e l’esclusione.

Marco con questo ultimo miracolo prima del segmento finale del viaggio di Gesù verso Gerusalemme, mira a tratteggiare quella che è la dinamica della fede: è l’ultima lezione che impartisce ai suoi lettori prima di introdurli al racconto duro della passione e morte del Maestro.

La fede, anzitutto, germoglia nel cuore dell’uomo che è ben consapevole della propria fragilità e finitudine, che è conscio di non avere in sé stesso le forze per interpretare la vita, per affrontare le prove e le pene che l’affliggono, per conoscere sé stesso e ciò che lo circonda. I poveri in spirito divenuti tali per scelta o per le vicissitudini della vita – è il caso di Bartimeo – hanno una corsia preferenziale per riconoscere Gesù che passa di fronte a loro. L’orgoglioso, l’arrogante, il gaudente, il narcisista sono talmente occupati a preoccuparsi di sé stessi e bearsi dei propri traguardi da non sentire l’esigenza di consegnarsi a qualcuno di più grande: loro, di forze, ne hanno tante!

Bartimeo manifesta questo suo inizio di fede con una professione pubblica che è una dichiarazione della propria piccolezza: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me”. Il cieco ha intuito che Gesù è il Messia, l’inviato di Dio e si accosta con umiltà, invocando solo un briciolo di attenzione: basta solo una sola parola, un suo gesto e lui riavrà la vista. E nonostante le persone attorno lo rimproverassero egli continua a gridare la sua speranza: la fede, quella vera, non prova vergogna, rispetto umano; quando una persona incontra realmente Cristo e si lascia afferrare da Lui, ella non permette al giudizio, al rimprovero o al dileggio degli altri di atterrirla o frenarla. Anzi, la fede si fortifica proprio nei momenti di opposizione e di persecuzione. I veri ciechi sono proprio quelli che pretendono che Bartimeo taccia: resti ai bordi della strada e non si permetta più di disturbare Gesù!

Di fronte al grido accorato del cieco, il Maestro di Nazareth non resta insensibile e lo fa chiamare attraverso i suoi discepoli; il povero uomo non si lascia scappare l’opportunità e, con entusiasmo e prontezza, getta via quel mantello che rappresenta le sue sicurezze, la sua vita passata e poi si alza in piedi e va da Gesù. L’incontro con Dio innesca sempre una rinascita, una risurrezione – “balzò in piedi” – e spinge al movimento, al cammino – “venne da Gesù”.

Cristo conceda la vista a Bartimeo perché questi è già capace di vedere molto in profondità la realtà, assai di più di quelli che gli stanno intorno. E ciò che il Maestro gli conceda è infinitamente più grande della guarigione degli occhi: Egli gli dona la salvezza, cioè una vita pienamente realizzata, una felicità che non si nutre di conquiste e traguardi umani, la possibilità di gustare sempre e pienamente la misericordia di Dio. Bartimeo invoca la guarigione e ottiene la salvezza!

È bene ricordare infine, che i miracoli non generano mai la fede degli interlocutori di Gesù, al contrario è la loro fede che ottiene i prodigi: Bartimeo è guarito e salvato perché crede fortemente che in Gesù si celi la potenza di Dio.

Con questo avvenimento, che accade a Gerico, la città più bassa di altitudine dell’intero globo terrestre, l’Evangelista invita il credente ad aprire convintamente gli occhi della fede perché fra poco, a Gerusalemme, assisterà a qualcosa di grande, di inaudito, di rivoluzione: Dio si consegnerà all’uomo perché l’uomo possa consegnarsi a Dio.

Claudio Rasoli


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