31 dicembre 2021

Il Comune di Milano finanzia uno dei più grandi archivi d'Europa. Ma perché costruire un archivio nel 2022?

La notizia ha avuto grande spazio sui principali quotidiani e TG milanesi: grazie al finanziamento approvato dalla Giunta Comunale per 17 milioni di euro verrà realizzato il primo Archivio Metropolitano di Milano, che assieme a Cittadella degli Archivi costituirà con i suoi 190 km lineari di capienza il più grande archivio robotizzato europeo. Al di là delle cifre e delle dimensioni che certo fanno impressione, è molto più importante chiedersi perché investire così tanto nella costruzione di un archivio nel 2022. 

Ebbene, ci sono dei motivi di utilità relativa, e dei motivi di utilità assoluta. E partiamo dai primi.

Anzitutto, la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione è da tutti ormai ritenuta l’unica strada per consentire alla macchina statale di tornare a funzionare. E la digitalizzazione dei servizi passa inevitabilmente per la gestione documentale, che non può prescindere dalla corretta tenuta degli archivi, sia documentali che digitali. E siccome i documenti nativi digitali hanno poco più di 10 anni, ogni comune ha almeno circa 140 anni di produzione documentale che va necessariamente custodita e soprattutto resa disponibile per la consultazione, attraverso la digitalizzazione. Più di metà dei fondi del PNRR sono indirizzati proprio alla digitalizzazione: ma non si può digitalizzare nulla se non si ha prima custodito e poi ordinato il proprio patrimonio documentale, e per farlo servono gli archivi. Un archivio ben organizzato consente di risparmiare le due grandezze più preziose e costose del mondo di oggi: il tempo e lo spazio. 

La compresenza in un medesimo edificio di carta ed esseri umani è ormai visto dal legislatore come un rischio elevatissimo, e i limiti di accumulo e i costi antincendio adeguati sono divenuti talmente alti da rendere questa compresenza totalmente sconveniente. Ed ecco che occorrono strutture dedicate alla sola presenza della carta, ma che devono poterla rendere immediatamente consultabile dagli uffici. 

La tecnologia informatica e l’ingegneria robotica ci hanno dato gli strumenti ideali a soddisfare questi bisogni: un impianto d’archivio robotizzato capace di estrazioni rapidissime, sale scanner in grado di digitalizzare i documenti e inviarli agli uffici in pochi minuti. Inoltre, la meccanizzazione degli archivi oggi consente di contenere in poche migliaia di metri quadrati decine di kilometri di archivi. Nel costruendo archivio metropolitano in 2.000 mq troveranno posto quasi 90.000 metri lineari di carte. 

Un progetto pilota con una proporzione che consentirebbe, se realizzato in ogni regione italiana, di risolvere buona parte dei problemi documentali italiani. E sul fronte dei costi, di liberare migliaia di metri quadrati di spazi non solo destinabili ad altro, ma anche di evitarne la costosissima messa in sicurezza.

L’attuale Cittadella degli Archivi fu realizzata circa 10 anni fa ad un costo di 5 milioni di euro. Oggi è divenuta una sorta di enorme back office dell’Amministrazione, e ha consentito al Comune di Milano di liberare spazi fisici per oltre 20 milioni di euro di controvalore, e di supportare operazioni di logistica massive come il trasferimento delle principali sedi comunali con centinaia di uffici traslocati. Le ripercussioni in termini di efficienze nella Pubblica Amministrazione sono enormi: nel vecchio Archivio Civico comunale si movimentavano circa 4.000 pratiche l’anno. In Cittadella, grazie alla robotizzazione, quest’anno abbiamo superato le 3.300 movimentazioni mensili: significa aver soddisfatto più di 20.000 utenti nel solo 2021. E aver reso possibile la fruizione del Bonus 110% su tutta la città di Milano, con un controvalore in euro per decine e decine di milioni di euro. Siamo passati da 10 a 25 addetti, e lavoriamo su due turni, sabato compreso: la struttura rimane aperta 12 ore al giorno 6 giorni la settimana, ma il lavoratore ha sempre la mattina o il pomeriggio liberi. A mio modesto avviso, il futuro del pubblico impiego.

L’idea dell’archivio come luogo polveroso è finita: entriamo nell’era in cui l’ingegneria è  conservazione della storia, e la digitalizzazione è la sua divulgazione.

Ma ci sono anche dei motivi di carattere assoluto, nella decisione di costruire un archivio nel 2022. “Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”. Così dice il vecchio Imperatore Adriano in un libro del 1951 della scrittrice franco-belga Marguarite Yourcenar, Memorie di Adriano appunto, e questa frase negli anni ’90 assurse a manifesto universale della cultura. Personalmente ho sempre trovato il libro un po' sopravvalutato, ma la metafora dei granai è inattaccabile: una biblioteca è il granaio che ci sfama dagli inverni dello spirito. E lo è anche un archivio, tanto che per lo Stato italiano biblioteche ed archivi sono considerati alla stessa stregua demanio pubblico e bene culturale, e tanto simili che sono vigilati dalle medesime Sovrintendenze, dette appunto Archivistiche e Bibliografiche.

Tornando ai granai, in realtà come ci insegna la Storia essi spesso e volentieri sono stati oggetto di assaltati e distruzioni, e la stessa fine hanno fatto anche molte grandi biblioteche ed archivi del passato, il che ci testimonia che ci sono inverni contro cui anche la biblioteca e l’archivio possono ben poco: la straordinaria biblioteca tolomea di Alessandria d’Egitto prese fuoco durante la guerra tra Marcantonio e Ottaviano Augusto, e tutte le immense biblioteche che sorgevano dentro ai giganteschi centri termali della Roma antica crollarono per mancanza di manutenzione durante le guerre gotiche, e i loro preziosissimi manoscritti finirono a migliaia nei focolari dei romani superstiti per decenni, garantendo la cottura del cibo e la sopravvivenza, che è pur sempre un lodevole servigio all’umanità anch’esso...

Ma allora perché costruirli ancora? Anzitutto perché sono fonte di trasmissione, e la trasmissione è  la vera garanzia di tenuta nel tempo. Quando le raccolte documentali della Roma imperiale erano al loro apice, le grandi famiglie patrizie come i Nicomachi e i Simmachi avevano approntato nelle loro immense dimore degli enormi “scriptoria” dove decine di amanuensi copiavano codici pergamene e papiri che venivano poi inviati ai confini dell’Impero. L’Impero cadde, ma i testi sopravvissero e arrivano fino a noi grazie al paziente e straordinario lavoro dei monaci medievali che li avevano a loro volta copiati e ricevuti in gran parte dell’Irlanda, uno di quegli estremi confini cui i Simmachi inviavano le copie. E a quei testi dobbiamo buona parte del Rinascimento, dell’Illuminismo e del Neoclassicismo, fino ai sogni di gloria dell’Impero Napoleonico. Quindi costruire consente di ammassare, e ammassare consente di tramandare, cioè di sopravvivere.

Ma c’è un motivo ancora più importante. Gli archivi sono fonte di verità storica non discutibile: non ci sono fake news, non ci sono siti internet in cui ognuno può scrivere quel che gli pare, vero o no. In archivio non esiste la relatività che invece oggi impera nel mondo virtuale di internet. Quando si entra in contatto con la carta, si entra in contatto con la storia realmente accaduta. Tra trent’anni, quando la carta sarà definitivamente scomparsa dall’uso quotidiano, il valore di un documento cartaceo sarà quello dell’oro.

Fondare archivi non è come costruire granai, è esattamente come costruire il caveau in una banca. E quei caveaux vanno costruiti oggi, perché la nostra storia va messa al sicuro oggi.

Che siamo alle soglie di un lungo freddissimo inverno dello spirito credo sia facile immaginarlo, anzi, pare che l’inverno sia già  iniziato.

Costruire un archivio è un segnale straordinario di fiducia, ma anche di buon senso e intelligenza.

E di questo devo rendere grazie ai tanti che in Comune hanno creduto in questa folle idea che oggi è finanziata e sta per diventare realtà.

Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano 

Francesco Martelli


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