2 dicembre 2021

Il Covid, Crema e la resilienza della cultura

Gli aspetti economici

C’è una frase ormai divenuta celebre: Con la cultura non si mangia. Questa affermazione, attribuita all’ex Ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che in molteplici occasioni non l’ha riconosciuta come propria, mi offre lo spunto per introdurre qualche dato.

Sappiamo tutti che i valori e i dati dipendono molto da come vengono perimetrati e dalle fonti di indagine che si prendono come base di ragionamento.

Per questa relazione prendo spunto e utilizzo i dati nazionali resi disponibili dal Rapporto Annuale recentemente pubblicato da Fondazione Symbola e Unioncamere. Il rapporto offre una interessante fotografia economica sull’andamento del fatturato a matrice culturale pre e post Pandemia analizzando i dati 2019 e 2020.

Quasi nove milioni di persone, nell’Unione europea, lavorano in ambito culturale e creativo. Di queste 1,5 milioni in Italia e 393 mila si collocano in Lombardia. Il Sistema Produttivo Culturale e Creativo dava lavoro, nel 2019, al 5,9% dei lavoratori italiani. I valori economici pre covid si attestavano a  più di 24,1 miliardi di euro con trend di crescita annuali più che consolidati.

Nel 2019 il Sistema Produttivo Culturale era in crescita e rappresentava il 5,7% del valore aggiunto italiano: oltre 91 miliardi di euro, con indici di crescita + 1,4% rispetto al numero di occupati e + 1,2% rispetto alla performance di fatturato.

Alla fine del 2020, in un contesto post pandemico, abbiamo dei dati naturalmente sconfortanti a livello nazionale e locale. A livello nazionale: 44% degli operatori della filiera stima perdite di ricavi superiori al 35% , il 15% prospetta perdite che superano il 52.3%. A soffrire di più sono state le imprese dei settori delle arti performative e operanti nella conservazione, promozione e valorizzazione del patrimonio storico artistico (niente concerti, spettacoli, teatro, letture per bambini, laboratori di didattica museale per le scuole, visite guidate, mostre etc).

Naturalmente il ruolo della cultura non è limitato alla sola quantificazione dei valori della filiera collegata al puro intrattenimento o approfondimento. Importanti sono anche i legami tra cultura e turismo. La Lombardia è la prima regione per spesa turistica attivata dalla domanda di cultura (3,9 miliardi di euro) e quinta per incidenza della stessa sul totale della spesa culturale (47,6%: quasi 10 punti in più della media nazionale).

Crema nel panorama italiano

La visione d’insieme focalizzata sull’andamento della spesa pro-capite di fonte pubblica e privata (derivante da sponsorizzazioni, finanziamenti su progetto) rende evidente che la crescita degli investimenti per la cultura determina un miglioramento di tutti gli indici riferiti ai consumi culturali e alla presenza di turismo in città.

Dall’angolo di visuale di un Funzionario del Comune di Crema che opera in campo culturale è facilmente e incontrovertibilmente dimostrabile che al crescere dell’investimento economico da sempre corrisponde un significativo incremento in termini numerici del coinvolgimento della comunità rispetto alla fruizione culturale e dei dati di attrattività turistica. 

Dando uno sguardo all’indice di spesa pro capite netto, espresso in euro/abitante, che rappresenta in effetti il reale investimento in campo culturale (mi riferisco qui ai volumi economici al netto di tutte le spese di struttura) vediamo che a fronte di una tendenza positiva vi è un picco negativo in corrispondenza dell’anno 2020. L’indice di spesa pro capite è passato dal 3,69 euro 2019 a 1,96 nel 2020.

Già dall’inizio del mese di Marzo 2020, in corrispondenza del dilagare dell’epidemia da Covid 19 che ha così duramente colpito Crema ed il suo territorio, la città si è trovata a dover affrontare ingenti spese straordinarie a fronte di altrettanto significativi mancati introiti derivanti dalla sospensione della fiscalità locale. Era quello il momento in cui tutte le amministrazioni locali sono state chiamate a fronteggiare emergenze gravissime sanitarie, economiche, umanitarie.

Anche i privati hanno giustamente privilegiato la filantropia e gli interventi di welfare civico accantonando per un attimo gli interventi collegati al mecenatismo culturale cui erano soliti adempiere. Sembreranno somme di poco conto, ma per il comparto culturale della città la sospensione del mecenatismo ha significato un mancato investimento di almeno 67.000 mila euro. Non solo i privati, ma anche le grandi Fondazioni Grantmaking (Cariplo, ad esempio) con cui Crema ha instaurato rapporti virtuosi, hanno indirizzato i propri finanziamenti su linee di intervento differenti. Regione Lombardia, altra significativa fonte di introito tramite i propri Bandi a sostegno degli interventi culturali, ha privilegiato le grandi istituzioni museali in difficoltà per le chiusure (ristorando i mancati introiti dagli sbigliettamenti) o le imprese culturali con standard di fatturato non paragonabili alle nostre imprese locali.

Riflesso immediato sul comparato culturale cremasco è stato l’abbattimento della capacità di spesa pubblica e privata e il conseguente depontenziamento della proposta culturale secondo canoni tradizionali.

Naturalmente la contrazione della spesa pubblica si abbattuta sulla filiera economica degli operatori culturali come un ciclone. Il mio punto di osservazione è necessariamente ristretto ma può dare conto, seppur in modo parziale, di un depaumeramento economico consistente della filiera produttiva culturale cremasca.

Vi presento qualche sintetico dato elaborato su un campione di 47 operatori/imprese culturali che negli ultimi anni hanno collaborato e collaborano con l’Area cultura del Comune di Crema.

Va detto immediatamente che si tratta di professionisti, imprese unipersonali o con un numero di dipendenti inferiore ai 8 operatori.

• il 38 % ha cambiato il proprio regime IVA passando al regime forfettario dei minimi (quindi con un reddito inferiore ai 30.000 euro annui) fra il 2019 ed il 2020
• il 5,6% ha chiuso la propria posizione IVA e utilizza la formula della prestazione occasionale o si è agganciato ad una grande cooperativa di servizi
• il 16 % ha trovato un altro impiego stabile sfruttando le proprie competenze tecniche o umanistiche mettendosi al servizio di altre aziende o imprese sociali che non operano in campo culturale (si pensi alle opportunità offerte dalle assunzioni nel comparto scolastico)
• il 43,7%  delle imprese ha maggiorato il costo delle proprie prestazioni 43% per poter sopravvivere con le rare commesse

Gli operatori del nostro territorio, per la maggior parte piccole imprese culturali, sono rimasti tagliati fuori dai ristori pensati più per realtà strutturate e con volumi economici molto superiori.

Quindi, ritornando allo spunto iniziale offerto dall’ex Ministro Tremonti: sì con la cultura si mangiava, prima della pandemia.

La crisi pandemica, ha evidenziato tante fragilità della filiera produttiva culturale, occorre tuttavia segnalare che gli istituti e le imprese culturali che hanno saputo cambiare il proprio modo di stare nella comunità hanno mantenuto saldo – anzi consolidato – il proprio ruolo sociale.

Da qui, mai come in questo ultimo biennio, all'ambito culturale viene riconosciuto un nodo strategico che risponde alla necessità di intessere comunità, creare coesione sociale ed elaborare esperienze: temi fondamentali per costruire un futuro (e lo dico anche nelle prospettive di sostenibilità e Agenda 2030)

Aspetto sociale e la reazione per minimizzare i danni delle chiusure e dell'isolamento

Accennavo prima al decremento della spesa pro capite destinata alla cultura e di come questo abbia inciso su tutti gli indici riferiti ai consumi culturali e alla presenza di turismo in città.

D’altra parte osserviamo anche come, in corrispondenza del costante incremento dell’investimento pubblico in cultura, siano costantemente cresciuti anche gli standard di servizio e di fruizione di tutti i luoghi della cultura da parte dei cittadini e dei turisti.

La biblioteca Comunale, luogo di comunità e coesione sociale, per i lunghi periodi di chiusura ha visto un abbattimento di propri indici da 111.917 ingressi nel 2019 a 51.259 nel 2020. I libri movimentati, quindi prestati ai cremaschi, sono passati da 101.789 a 33.972.

Non è andata molto meglio sul versante del Museo anch’esso chiuso a lungo e impossibilitato a promuovere il patrimonio con le consuete e frequentatissime attività in presenza: da 15.015 a 3.098 ingressi cui si aggiunge il dato più doloroso e riferito alla presenza delle scuole: solo 12 classi nel 2020 hanno fatto in tempo a partecipare alle attività didattiche del museo contro le 217 del 2019.

Anche il numero assoluto di appuntamenti culturali organizzati, in costante crescita dal 2017 si è più che dimezzato nel 2020. Durante la breve finestra temporale in cui è stato possibile organizzare attività e riformulare una proposta culturale tradizionale (periodo giugno - ottobre) si è fatto il possibile per dare una prospettiva di normalità alla città ma abbiamo vissuto solo 187 appuntamenti contro i 495 del 2019.

Passaggi al digitale della proposta culturale tradizionale per mantenere il legame con la comunità

Le strette misure di contenimento della pandemia da covid 19 hanno portato alla chiusura dei luoghi fisici con conseguente emerogia di presenze che è stata in parte recuperata con un ampliamento dell'offerta di contenuti fruiti digitalmente. Da questo punto di vista la pandemia ha sollecitato istituiti e operatori culturali a un cambio netto e rapido di prospettiva favorendo una maggior consapevolezza e un incremento di competenze nell'utilizzo dei linguaggi digitali.

E va subito detto che se, nell'immediato del primo lock down, l'obiettivo di spostare  il ruolo degli istituti culturali sulle nuove piazze virtuali, le uniche che potevano essere frequentate, si è basato su esperienze e produzioni "casalinghe", nel giro di pochissime settimane l'impostazione si è ribaltata.

Ci è stato chiaro che il volontarismo e l’imporovvisazione, estremamente diffusi, non avrebbero pagato, in termini di ingaggio del pubblico: non era sufficiente attivare delle dirette sulle piattaforme social, servivano un progetto a lungo termine, qualità di contenuti e una cassetta di attrezzi e competenze da mettere in gioco. Competenze interne costruire nel tempo e anche esterne, rintracciate in tutti quegli operatori culturali che sono stati disponibili a ribaltare le prospettive del proprio lavoro e a smaterializzare i propri interventi.

La resilienza culturale della città ha permesso di crare repository di contenuti fruibili 24/24, di essere di supporto alle attività integrative per la didattica a distanza, di creare percorsi di valorizzazione del patrimonio e condivisione dell'identità culturale di Crema che, a oggi, rappresentano un valore aggiunto ancora molto utilizzato per la comunità.

Questa transizione digitale ha contrastato l'emorragia di presenze fisiche agganciando anche chi, per le più diverse ragioni, non frequentava i luoghi della cultura, con picchi di 1130 visualizzazioni per singolo video e una media di 675 visualizzazioni per ciascun contenuto culturale e 798 per ciascun contenuto di marketing turistico.

Stiamo parlando (dato aggiornato a Sabato scorso) di 203.850 visualizzazioni in un anno.

Gli streaming degli eventi culturali che si sono potuti realizzare in presenza (12.924 cittadini)  hanno in effetti raggiunto 91.175 visualizzazioni.

Sul versante della biblioteca gli investimenti in istruzione e promozione della lettura digitale hanno fatto in modo che la sola città di Crema abbia 583 lettori digitali: pensate che la città di Brescia, che utilizza la nostra stessa piattaforma, ne conta 1208, poco più del doppio della piccola Crema.

Questo a sottolineare come i linguaggi del digitale, se utilizzati e proposti con la giusta consapevolezza, rappresentino  ormai un irrinunciabile compagno di viaggio per tutto il comparto culturale.

Responsabile del comparto ‘Cultura e Turismo’ presso il Comune di Crema

Francesca Moruzzi


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