14 novembre 2021

Il cristianesimo? Altro che narcotico, è un eccitante!

La tentazione di prevedere la fine del mondo ha percorso tutti i secoli della storia. Si dice che i cristiani che vissero a scavalco tra il primo e secondo Millennio temettero di assistere all’Apocalisse nel momento del passaggio tra il 999 e l’anno 1000, anche se seri studiosi hanno derubricato quel “Mille non più mille” a leggenda nera nata durante il Rinascimento per screditare l’uomo medievale. Negli ultimi decenni i Testimoni di Geova - confessione religiosa che si definisce cristiana ma non lo è perché nega la divinità di Gesù – hanno più volte annunciato la “fine”  rimanendo ogni volta scornati e dovendo sempre spostare la data in avanti. Peccato che i seguaci di Geova, così dediti ad un approccio letterale della Sacra Scrittura, abbiamo dimenticato il versetto che chiude il Vangelo di questa domenica dove si afferma che nessuno, nemmeno il Figlio, conosce il giorno e l’ora dell’intervento di Dio nella storia umana.

Che il mondo che noi conosciamo avrà un termine questo è certo: Dio, in Cristo Gesù, ricapitolerà ogni cosa e anche la Creazione così fragile e transitoria godrà di una trasfigurazione che nemmeno possiamo immaginare. Al cristiano, però, il momento in cui questo accadrà non deve interessare, non perché non si tratti di un evento importante, decisivo, ma perché a quel momento deve essere sempre preparato. Sovente il Maestro di Nazareth insiste con i suoi uditori perché maturino un atteggiamento vigilante: il Signore verrà quando meno ce lo aspettiamo e desidera trovarci in piedi, operanti nel bene, profondamenti giocati nell’amore. In un passo del Vangelo di Luca Gesù proclama: “ Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lucerne accese; siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa” (Lc 12, 35-36).

Le "vesti strette ai fianchi” richiamano l’atteggiamento tipico dei lavoratori antichi, o dei pellegrini che volevano camminare spediti verso la meta: per non avere impaccio nei lavori, o nel cammino, erano abituati a sollevare e arrotolare le vesti bloccandole con una cintura. Mentre le “lucerne accese” rimandano alla fede, cioè a quella interiore certezza che fa dire che il Signore torna sempre e che se si allontana è solo per saggiare la capacità dell’uomo di gestire la propria libertà, i propri talenti, la propria responsabilità.

Il Signore, quindi, ci chiede di vivere l’istante presente come se fosse l’ultimo, sempre. E questo che cosa significa concretamente? Significa bandire la banalità e la superficialità dal nostro quotidiano lasciando da parte parole vuote e stantii luoghi comuni, rallegrarsi di ogni gesto di bene di cui si è spettatori perché il buono va sempre condiviso e amplificato, allontanare dal cuore ogni desiderio di rancore e di rivalsa perché il tempo non va sprecato nell’odio, arrestarsi nella propria corsa quotidiana per assistere al miracolo del fiore che sboccia e del neonato che vagisce perché l’anima ha bisogno di nutrirsi di bellezza, lottare quando la dignità dell’uomo è calpestata, vilipesa o derisa perché se il Paradiso deve germogliare già su questa terra non ci può essere spazio per il sopruso, la violenza, la disparita, il pianto.

Che il Signore arrivi oggi, domani, fra cent’anni non importa, importa che egli verrà e ci chiederà se abbiamo camminato o ci siamo trascinati, se siamo stati audaci nell’amore o se abbiamo chiuso il nostro cuore agli altri, se abbiamo vivacchiato o vissuto.

L’idea teorizzata da Marx che la religione sia l’“oppio dei popoli ” non scalfisce minimamente il Cristianesimo che non è mai stato e non sarà mai un anestetico alla coscienza, una sorte di calmante sociale per tenere a freno i poveri e gli oppressi. Chi lo afferma non ha mai letto seriamente il Vangelo e non ha mai realmente studiato la storia della Chiesa. Se lo avesse fatto si sarebbe accorto di quanti cristiani si sono tirati su le maniche per anticipare quel Regno di giustizia e di pace che Cristo verrà ad inaugurare con la sua venuta nella gloria. Il Cristianesimo più che un narcotico della coscienza e un eccitante della carità, uno stimolante al bene. Se uno prende sul serio le parole di Cristo sull’amore al prossimo, sul potere disarmante del perdono, sulla fraternità che si fonda sulla comune dignità di figli di uno stesso Padre non può certo stare con le mani in mano.

Proprio ieri la nostra diocesi ha celebrato la solennità patronale di Sant’Omobono, il primo laico non nobile ad essere canonizzato dalla Chiesa. L’amore per Cristo lo ha condotto ad essere un vero e proprio rivoluzionario del bene, un punto di riferimento per tanti: padre dei poveri, ambasciatoredi pace, difensore della verità. La sua contemplazione della croce non lo ha portato a chiudersi in un mondo onirico, in uno spiritualismo immobile, in una accorata supplica a Dio affinché sistemasse il mondo correggendone le storture! La sua fede, il suo rapporto con Dio lo ha scaraventato nel mezzodell’agone cittadino: egli si è dato senza riserve, ha rischiato reputazione e vita, ha mostrato il suovolto agli uomini. Cristo quando ti afferra ti spinge sempre verso il fratello! Omobono, come migliaia di uomini e donne di buona volontà, ha vissuto come se il Signoredovesse venire subito, come se dovesse venire sempre. Non si è preoccupato di come e quando

Cristo sarebbe apparso nella gloria, si è preoccupato di riempire di Vangelo ogni istante della sua esistenza. Chi vive il presente nell’amore non teme il futuro perché sa di non aver operato invano. Sant’Omobono ha vissuto sempre con i fianchi cinti e la lucerna accesa. A lui il domani, non ha mai fatto paura.

 

 

 

Claudio Rasoli


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