11 settembre 2021

Nelle aree di guerra ci vai pronto a tutto, un attentato nella vita quotidiana è un'altra storia

NEW YORK – “No Day Shall Erase You From the Memory Of Time”. Tradotto: nessun giorno potrà cancellarvi dalla memoria del tempo. Questa è la citazione di Virgilio scritta a caratteri cubitali sul gigantesco mosaico realizzato con piccoli tasselli dalle sfumature azzurro cielo posto all’interno del Memorial Museum dell’11 settembre a New York. 

I fatti. Era il 2001 quando una serie di quattro attacchi suicidi, coordinati da un gruppo di terroristi appartenenti all’organizzazione di Al Qaeda, colpirono obiettivi civili e militari negli Stati Uniti. In una limpida e soleggiata giornata di settembre, quando nulla si pensava potesse accadere, 19 uomini di Al Qaeda dirottarono quattro aerei di linea con l’obiettivo di mettere in ginocchio il simbolo dell’occidente. Due di questi aerei colpirono le Torri Gemelle a New York, uno il Pentagono a Washington ed uno, diretto sulla Casa Bianca, precipitò in un campo in Pennsylvania. Gli attacchi causarono la morte di quasi 3000 vittime tra civili, vigili del fuoco e forze dell’ordine. Non solo, negli anni successivi si verificarono altri decessi a causa di tumori e malattie respiratorie legate alla conseguenza della strage. In meno di quindici anni, la città di New York è riuscita a trasformare il luogo simbolo della fragilità americana in un luogo commemorativo ma intriso di rinnovamento e speranza. Dove, in mezzo a tutto l’orrore dei fatti, non può non essere evidenziato il grande senso di comunità e di eroismo che l’America ha dimostrato nel tentativo di salvare le vittime di quel giorno, di quelle settimane che tennero il mondo intero incollato alla televisione. Impossibile dimenticare.

Il Memorial Museum è stato realizzato sulla superficie nel punto esatto dove sorgeva il cratere delle Twin Towers. Un percorso scioccante, evocativo che impone rispetto nei confronti di quelle vittime i cui nomi sono incisi tutti intorno alle ampie fontane quadrate in granito nero e che sembrano accompagnare lo sguardo in un buco nero senza fine. Ad ogni compleanno delle vittime viene posata una rosa bianca, a significare che nessuno è dimenticato. Un museo che si sviluppa sottoterra, lontano dalla frenetica New York. Si scende ad una profondità di 25 metri, in uno spazio che catapulta verso quelle che erano le fondamenta delle Torri Gemelle, quasi una discesa al centro della terra. Vige un silenzio assordante tra gli spazi enormi, il possente cemento dei muri delle grandi scale, il ferro deformato dal calore delle esplosioni, resti di autobotti distrutte, il cuore si stringe. Devastante e toccante è il racconto di ciascuna vittima. La sezione audiovisiva si divide in due parti. In entrata propone immagini e suoni agghiaccianti, tra cui le strazianti telefonate d’addio delle vittime. Poi ci sono alcune sale che all’ingresso avvisano della proiezioni dei filmati più crudi di quel giorno: qui è possibile sedersi in raccoglimento. Ascoltare le storie di vita di queste persone, gli ultimi istanti delle telefonate, immagini che rimarranno impresse nella memoria. Erano amici, cugini, zii, madri, padri, figli, persone come noi, unite da un assurdo destino. Un luogo realizzato per non lasciare al tempo che passa i particolari di una delle pagine più difficili della storia contemporanea. E mentre si continua, ancora oggi, l’arduo lavoro di identificazione delle vittime, il nuovo risveglio dell’Afghanistan ripreso dai talebani getta il mondo in profonda crisi. Non serve nascondersi dicendo che ciò che accade in Afghanistan resta confinato all’interno di una scatola chiusa che non può colpirci. Non è così. Mi ritorna alla memoria Primo Levi, nel suo “Se questo è un uomo”:  “Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo, che lavora nel fango, che non conosce pace… considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome”; con la visione fondamentalista islamica potremmo sostituire il lavoro nel fango al kalashnikov degli uomini costretti a combattere ed il capo rasato delle donne alla loro costrizione nel dover indossare il burqa per trasformarsi in esseri irriconoscibili, senza corpo, senza volto, con una sguardo del mondo filtrato attraverso le sue fessure, esseri privi di libertà, disinnescati nella possibilità di causare tentazione. Questo non vuole essere un parallelismo letterario ma una descrizione della realtà. La popolazione afghana sta dimostrando grande coraggio. Gli uomini e le donne non stanno reagendo con manifestazioni paragonabili a quelle avvenute in Occidente a partire dagli anni 60, i problemi ed il contesto storico-sociale erano altri, non commettiamo questo errore di valutazione. Qui in gioco c’è molto di più. C’è il concetto stesso di libertà, il modo di vivere così come lo intendiamo noi. Non ritorniamo agli arcaici concetti dove ci sono religioni buone e religioni cattive perché dovremmo scomodare interi volumi di storia che trattano di crociate ed inquisizione. Il tema vero, in ogni religione, è il fanatismo, il come vengono interpretati i testi definiti sacri. 

L’attualità ci porta con il punto di osservazione a vent’anni dall’attentato alle Torri Gemelle ed il mondo non sembra poi essere così cambiato. Il ritiro delle truppe americane ed alleate dall’Afghanistan ha decisamente destabilizzato gli equilibri mondiali. Era stato fatto un lavoro importante, in cui molte forze umane si erano impegnate nel regalare una boccata di ossigeno ad un popolo oppresso dal fanatismo, ma i fatti hanno dimostrato che, anche il come vengono chiuse le missioni, fa la differenza. Il 14 aprile 2021 l’amministrazione americana accelera le procedure di ritiro delle truppe USA che avrebbe dovuto avvenire entro l’11 settembre 2021. L’esercito addestrato con il compito di difendere la popolazione dai talebani si è dissolto nell’aria e la popolazione si prepara a vivere un incubo. Il 15 agosto i talebani si riprendono Kabul. Il Presidente Ashraf Ghani, chiamato a garantire il concetto di libertà, fugge. 

Mentre le forze armate statunitensi ed alleate cominciano le evacuazioni di migliaia di occidentali ed afghani che hanno collaborato, e per questo motivo rischiano di essere uccisi dai talebani, i civili, non ricompresi nelle liste di evacuazione, cadono nel vuoto nel tentativo estremo di salvarsi aggrappati agli aerei in decollo, così riportando alla memoria le immagini di chi ha tentato invano di sottrarsi al fuoco delle Twin Towers lanciandosi nel nulla. Il 26 agosto, l’attentato all’aeroporto di Kabul per mano dell’Isis-K, causa circa 200 morti. Hanno fatto il giro del mondo le immagini di quell’orrore. Oggi l’incubo terrorismo si fa vivo più che mai, l’America e con essa gli alleati sono feriti. 

Sono stata in zone di guerra, sono stata in luoghi che vengono definiti aree di crisi, un qualcosa per cui ci si prepara per mesi, esiste una formazione teorica, esiste una preparazione pratica con un vero e proprio addestramento. Chi va in missione in questi luoghi mette in conto le conseguenze delle proprie scelte. Ma subire un attentato nella vita di tutti i giorni è tutta un’altra storia. Lo abbiamo visto negli anni. La lista dei principali attentati terroristi, da quel lontano 2001, lascia una scia di innumerevoli lutti che ha insanguinato non solo l’Europa ma, anche, il resto del mondo. La cultura dell’odio è come la brace per un camino, il fuoco sembra spento poi basta una scintilla ed il fuoco divampa. Il terrorismo esiste ancora, negli anni si è solo evoluto. 

giornalista, inviata di guerra

Beatrice Ponzoni


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