6 settembre 2021

Vaccini, forse il governo ha deciso di abbandonare la linea morbida

Evviva: la scienza registra in questi giorni un imprevisto quanto clamoroso caso di risveglio da apparente stato di coma profondo. Il passo pesante dei ‘terroristi’ anti green pass ha evidentemente raggiunto nelle sue profondità oniriche la ministra Lamorgese producendole un improvviso sussulto vitale prontamente materializzato in marmorea sentenza: ‘Coi no vax tolleranza zero’. Peccato che a tanta esibizione muscolare sia toccata la frustrante sorte di misurarsi con quattro gatti praticamente innocui. Ma essendo in gioco, quantomeno indirettamente, la sacrale inviolabilità del dogma vaccinale è parso giusto sguinzagliare i pitbull e dispiegare l’intera potenza dissuasiva degli apparati di sicurezza. Tuttavia, alla luce di un pur sommario ragionamento, i conti non quadrano. Il generale Figliuolo assicura che entro settembre l’80% degli italiani avrà copertura vaccinale. Mica male: quasi un primato europeo. Se alla fine del 2020 si riteneva sufficiente per raggiungere l’immunità di gregge il 70% dei vaccinati, oggi dovremmo brindare al traguardo raggiunto e superato. Invece no: a ogni meta doppiata l’asticella viene spostata verso l’alto. Tanto valeva dire subito che nella singolare versione italiana immunità di gregge vuol dire 100% di vaccinati. Il momento è, in effetti, psicologicamente difficile sia per governanti che per governati. Lo Stato è palesemente alle prese con un’operazione comunicativa complessa, deve dotarsi di argomenti in grado di scalare i picchi della più raffinata ipocrisia oratoria. Pugno di ferro in guanto di velluto. Sottovoce e fra amici diciamolo pure: tira aria di MinCulPop, celebre ministero della cultura popolare alacremente attivo nel Ventennio fascista. Ma, tornando a noi, dov’è il problema su cui s’arrovellano, in difficile equilibrio fra bastone e carota, i guardiani della salute pubblica? E’ nel famoso ‘zoccolo duro’. Cioè nel 20% di popolazione che, asserragliata sui bastioni di un libero arbitrio individuale sotto crescente assedio, continua tuttavia a praticare obiezione di coscienza. Chi la spunterà?

Dopo mesi di paternalismo ‘morbido’, il passaggio delle istituzioni dalla carota al bastone pare imminente e ne è eloquente avvisaglia il salto di qualità nel linguaggio. Se, in uno strafalcione storico da ergastolo, un ispirato cantore del vaccino, nonché ospite fisso di talk show serali, ha definito i No vax le Nuove Brigate Rosse siamo evidentemente a un passo dal definire gli ostili al vaccino come i nuovi fiancheggiatori delle Brigate Rosse. E a questo punto c’è poco da scherzare e molto da riflettere. Quanto sta accadendo dal febbraio del 2020 non è solo un drammatico capitolo della nostra storia sanitaria ma anche una rappresentazione ad alta concentrazione indiziale della piega che sta prendendo il rapporto fra governanti e governati, fra potere impositivo dello Stato e libertà personali riguardo a un trattamento sanitario emergenziale. Il che non vuol dire ‘improvvisato’. Però vuol dire emergenziale. Mai dal secondo dopoguerra e dal ripristino delle libertà democratiche, il confronto fra l’autorità statuale e una parte -non maggioritaria ma nemmeno trascurabile- della popolazione, aveva assunto una configurazione così seccamente frontale. Ma chi sono le inafferrabili Primule Rosse dello ‘zoccolo duro’? Sono disinformati, tremebondi, ‘menti deboli’ come qualcuno con ottusa superficialità li dipinge? Sono figli di un Dio minore, da prender per mano e ricondurre sul luminoso sentiero della ragione? Nient’affatto. Casomai è vero il contrario. Ragionano eccome, persino troppo. E in quanto ragionanti si fanno domande. Proprio quel tipo di domande su cui l’alluvionale bla bla in corso mantiene tenace e sospetta reticenza. Insomma, sono un osso duro che va incontrato e convinto sul piano della razionalità e, come tale, un interlocutore infinitamente più impegnativo rispetto al variegato pianeta No vax che si muove fra episodiche violenze agevolmente trattabili a suon di codice penale e irrazionalità tanto patetiche e pittoresche da offrirsi da sole al compatimento generale.

E’ comunque innegabile che il Governo, volendo averla vinta sul 20% di resistenti a oltranza, sia giunto a un delicato tornante strategico. Ha bisogno di far ricorso all’intero potenziale di autorevolezza di cui dispone. Ma ne dispone? Ovvio che se opta per l’obbligatorietà del trattamento sanitario taglia la testa al toro. Ma crea un precedente, apre una ferita nel corpo sociale di cui in qualche modo sconterà il prezzo. Certo, a Draghi e colleghi farebbe comodo in questo momento non essere alla guida dell’Italia del terzo millennio ma della Prussia di fine ‘700, in piena epopea di Stato Etico. Quello Stato, per intenderci, che disponendo di poteri assoluti si fa produttore di etica, decisore di cosa è bene e cosa è male e in funzione della suprema ragion di stato può imporsi su qualunque valore e diritto individuale. Ma quella era la Prussia e questa è l’Italia, Paese in cui col concorso attivo di generazioni di legislatori ogni principio vagamente gerarchico di autorità è stato accuratamente smontato e ridotto al lumicino. Dalla scuola alle forze dell’ordine ogni potere giudicante, punitivo o sanzionatorio può essere sbeffeggiato, ripudiato e liquidato come autoritarismo fascista. Senonché adesso c’è il covid, occorre vaccinarsi e il principio di autorità torna di moda. E può capitare che chi ci pareva libertario, arruolato ora fra i cantori del vaccino si faccia nostalgico del pugno di ferro e ci ricordi con accenti lirici e voce rotta dal rimpianto che i soldatini di leva negli anni ’50 si beccavano in una sola iniezione un cocktail di dieci vaccini senza un lamento o una domanda in merito ‘era un ordine e tanto bastava’. Già, caro Mughini, ma quella era l’Italia obbedienziale e semplice, degli anni cinquanta. Questa è, tanto per capirci, l’Italia del ddl Zan e, dettaglio non insignificante, il servizio miliare obbligatorio è morto e sepolto da decenni accuratamente avvolto nel lenzuolo arcobaleno dei pacifisti. E dunque, come la mettiamo con lo zoccolo duro?

Forse non sarebbe risolutivo ma certamente utile che lo Stato ammettesse di avere toppato la linea editoriale scelta per il quotidiano racconto pubblico della pandemia, di fatto realizzato come un nuovo genere televisivo d’intrattenimento. Rai e Mediaset, colossi dell’informazione, hanno affrontato l’impegno informativo e divulgativo alla stregua del lancio di un prodotto pubblicitario. Come? Arruolando plotoni di entusiastici testimonial. Giornalisti, politici, opinionisti, politologi…Tutti insieme appassionatamente a raccontarci quanto è stato meraviglioso ricevere la prima e la seconda dose del vaccino e con quanta bramosia attendano la terza. Ormai sono a un passo dal confidarci il loro aperitivo prediletto: due dosi di Astrazeneca, una di Moderna e una spruzzata di seltz. Non siamo piantagrane che chiedono la luna. Bastava molto meno. Solo un servizio pubblico più sobriamente e seriamente consapevole del ruolo. Magari una manciata di minuti giornaliera nella fascia preserale in cui una figura scientifica che sa quel che dice e sa dirlo nel modo giusto rispondesse per filo diretto alle concretissime domande che milioni di italiani tuttora avrebbero da porre riguardo al vaccino: effetti collaterali non immediati, componenti e principi attivi, terapie domiciliari, cure alternative e così via. Ma questo non è accaduto. E lo zoccolo duro è ancora lì.

Ada Ferrari


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