29 ottobre 2021

Benedetto Frizzi, il medico musicista di Ostiano

Ostiano ha dato i natali ad una delle personalità poliedriche più interessanti del Settecento: agrimensore, ingegnere, medico, letterato, cultore dell'ebraismo, critico musicale e teatrale. Questo è stato Benedetto Frizzi a cui, tra le altre cose, dobbiamo la conoscenza dei maggiori attori e cantanti che calcarono i palcoscenici di mezza Europa ai suoi tempi. Il suo vero nome era Ben Zion Rephael Ha-Kohen ed era nato nel 1756, secondo altri nel 1757, nel vecchio ghetto di Ostiano, allora in provincia di Mantova, da una famiglia benestante. Il padre si chiamava Michele e la madre Dora Vitali. I genitori non avevano trascurato certo l’educazione del figlio che si era dimostrato ben presto molto recettivo, per cui lo avevano mandato a studiare dapprima a Fiorenzuola in provincia di Piacenza, poi, sotto la protezione dalla famiglia Fano, si era recato a Mantova studiando prima presso l’Accademia rabbinica e poi presso il locale Ginnasio. Nel 1774 si diploma ingegnere agrimensore ma, non soddisfatto, si iscrive, nel 1783, a medicina all’Università di Pavia. Tra i suoi insegnanti figura, tra gli altri, anche Alessandro Volta, e negli anni di corso, gli capita di incontrare anche l’imperatore Giuseppe II d’Asburgo che ne rimane favorevolmente colpito. Nel 1787 si laurea in filosofia e medicina e due anni dopo, ottenuta la licenza per la “libera pratica”, si trasferisce a Trieste, dove Giuseppe II con le Patenti di tolleranza verso gli ebrei, dal 1781 al 1785, aveva rafforzato la ricchezza e lo sviluppo della colonia ebraica, presente a Trieste da molti secoli. Dopo la parentesi dell'occupazione francese, con il ritorno del governo asburgico, la città conosce un notevole sviluppo e, anche per l’aiuto dato dalle nuove idee che venivano dalla Francia, nell’Ottocento diviene il terzo porto del Mediterraneo (dopo Genova e Marsiglia) e la comunità ebrea ne è parte importante. 

Benedetto Frizzi è in questo momento molto conosciuto, in quanto uno dei pochi medici della città, è filosofo, musicologo, poeta. Sa essere spregiudicato, non sempre di buon carattere. Pur non godendo di buoni rapporti con la comunità ebraica della città, resta nell'ortodossia. Usufruendo del codice napoleonico, nel 1818, si sposa civilmente con Rachele Morschene, divorziata. Anna, maritata Forti, l’unica figlia della coppia, muore di parto. Dieci anni dopo Frizzi, con la moglie, ritorna ad Ostiano, non più nel ghetto ma in un palazzo sulla via principale e continua a fare il medico. Il 30 maggio del 1844 muore, seguito nella tomba, dopo tre giorni, dalla moglie. Viene sepolto nel cimitero ebraico di Ostiano ma la sua tomba è andata perduta. Forse per questo motivo la sua figura è più conosciuta a Trieste, dove operò per lunghi anni, che non nel Cremonese, dove tornò per morire. A Trieste si ricorda che, insieme ad un altro medico ebreo, Leone Kollman, Benedetto curò e fece ampliare nel 1816 l’ospedale israelitico, presente già nel 1781 presso Via del Monte. Fu sicuramente anche un buon terapeuta, secondo le conoscenze del tempo, nemico della superstizione e delle credenze assurde. Molto attivo anche in campo culturale, fu tra i 77 soci fondatori della Società di Minerva, anche se la fama di Frizzi è tuttora collegata alla pubblicazione del “Giornale medico e letterario di Trieste”, una delle prime pubblicazioni periodiche mediche, edito tra il 1790 e il 1791, in 4 volumi. Tra il 1790 e il 1792 il Frizzi pubblicò a Trieste gli “Opuscoli filosofici e medici” in quattro volumi, il primo dei quali contenente 11 saggi su alcune delle più note malattie delle quali avevano sofferto vari personaggi biblici (cecità di Isacco e di Giacobbe, sterilità di Rebecca, Sara e Rachele, ecc.), gli altri dedicati ad argomenti musicali. Oltre agli scritti di interesse medico, fu autore di opere concernenti il popolo ebraico, i suoi usi e costumi, le sue credenze: opere sostanzialmente apologetiche della tradizione ebraica, anche se critiche di alcuni errori e consigli per opportune riforme in esse contenute erano state male accolte dal pubblico israelita. Tutta la vita di Benedetto Frizzi si è svolta nell’ambito dell’Illuminismo, convinzione che talora lo portò a “scontrarsi” con interpretazioni dogmatiche che lui reputava incrostazioni successive ai testi sacri e con superstizioni nel campo della salute. 

Tuttavia una delle operette più interessanti di Benedetto Frizzi è un opuscolo dal titolo “Dissertazione di biografia musicale di Benedetto Frizzi ingegnere e medico”, pubblicato probabilmente intorno al 1802, di cui esiste una copia nel Civico Museo Teatrale C. Schmidl di Trieste, parte del Civici Musei di Storia ed Arte della città. Il libro è composto da una serie di lettere, forse scritte e inviate da Frizzi a all'abate Gioseffo Mari, cui è dedicato, prima della pubblicazione, o forse scritte da Frizzi in particolare per la pubblicazione. Nella “lettera sopra celebri musici" sono raccolte notizie e recensioni su rappresentazioni viste a Mantova, Milano, Brescia, Novara, Venezia e Trieste che rappresentano un'importante fonte di informazioni su alcuni dei principali cantanti della fine del XVIII e dell'inizio del XIX secolo. Un parte importante delle lettere è dedicata alle cantanti più celebri del suo tempo, ed è proprio in una di queste che Frizzi tesse le lodi incondizionate dell'unica cantante che sia stata in grado di suscitare in lui forti emozioni: la cremonese Brigida Giorgi Banti. Ecco cosa scrive di lei: “La Banti questa fù la cantante che à mosso in mè ad un sol tratto l’ammirazione, e la tenerezza. Non era bella, ma non era priva delle sceniche grazie. Una voce che non ò sentito l’eguale in quanto alla sonoreità, con voci medie fortissime, e acuti estesi e sorprendenti; un trillo granito e veloce nell’allegro e moderato come esser dee nell’addagio; una slanciata di voce inimitabile, con salti più regolarmente intonati, e a più d’ogn’altro una tenerezza la più movente nel tetro, e un certo carattere di facilità in ogni modulazione di quella grata voce che pare dica quasi agli uditori, è la verità musicale che vi parla, è natura che vi stringe. E non son questi sufficienti motivi a rendere immortale la sua memoria? Taccia pur il volgo ignaro che per trovar macchia nel sole del merito, ardisce dire questa donna insciente dei musicali principj. È vero che è sorprendente la sua abilità e la sua facilità nel mentare le musicali cose, ma è altrettanto verissimo di saper essa perfettamente gli armonici fondamenti, e di ben conoscere le teorie necessarie a una cantante”. Un'altra artista di cui tesse le lodi è l'inglese Elizabeth Billington, secondo alcuni la miglior soprano d'Oltremanica, famosa per l'arte ma anche per la sua movimentata vita privata. Basti pensare che una sua biografia, dove era raccolta la corrispondenza con i suoi famosi amanti, tra cui, sembra, anche il principe del Galles il futuro re Giorgio IV, andò esaurita in un sol giorno. “La Billington – scrive Frizzi - donna che sembra nata per onorare l’anglico suolo col suo nome, non dirò come lo fece Bacone nel suo Organo delle Scienze; non come Loke nel formare l’Analisi dello spirito umano, non come Newton nel ridurre a teorema il sistema del mondo, nè come Pope nel rendersi famoso insieme, e come poeta e come filosofo; ma assolutamente in quel grado particolare che merita dirsi una donna rara e impareggiabile nel suo canto, in quei rapporti però in cui si distingue; vale a dire nell’ammirabile, nel difficile e nel realmente sorprendente. Non è indifferente nel canto di sentimento, ma in uello che involge il malagevole musicale è l’unica che possa esser proposta per mostra dell’umana capacità. Un intonazione sicura in ogni luogo; l’acuto trillato anche sull’Elafà sopracuto; un trillo che sembra numerato a linee; arie di sorpresa e obbligate, voci tenute quasi matematicamente degradate per punti presso che infinitesimi; una profonda cognizione della musicale scienza, con prove irrefragabili, e nel suo canto, e presso al clavicembalo, sono doni questi tutti particolari della celebre Billington, che non cesserò di vantarmi di aver ammirato, sennon colla mia esistenza. Una prova geometrica del suo eccellente merito, e dei sublimi suoi musicali rapporti è quella di aver piacciuto a pochi. Un scrittore di romanzi piace a ogni anima leggiera. Un sistematico filosofo non può incontrare che a chi l’intende. Egli è ben sicuro che nata nell’Inghilterra, e non educata in Italia, non può possedere l’accento nella lingua italiana, che può avere un toscano; ma però sà abbastanza la lingua, e sà abbastanza battere le vocali per far ben risentire sulle scene, tutto ciò che interessa la vera armonia. La sua modificazione di scena per quanto appartiene alla comica, non è insipida, nè il suo recitativo disgustoso, giudicandolo in rapporto giusto di nazionalità. E’ vero che il suo scenico movimento non è così aperto e ondulante, come si suol vedere sull’onde una polacca napoletana, o una barca istriana. Ma vorrei che i satirici del vero merito facessero mecco una soda riflessione. Sentite ben amico. Chi canta il difficile non può poi pensare alle ultime finezze della comica in quanto ai movimenti. Deve tutto lo spirito nelle sue principali facoltà esser raccolto in un sol momento, a pensare le note che attualmente canta, e quelle che deve successivamente cantare per prepararsi a darle quella giustezza d’intonazione, e quel carattere di espressione che esiggono le parole proferite nella melodia. All’atto di una cadenza ben sapete quanto deve studiarsi per ben conbinarla coll’antecedente e col conseguente, essendo questo punto dove brilla l’abilità del cantante. Devesi discernere la forza maggiore o minore delle voci, giusta l’intensità delle passioni di cui l’armonia ne forma il quadro, e secondo quel grado che esigge la relazione dell’orchestra colla parte stromentale. E chi vuole veramente all’inglese appuntino far il suo dovere colla precisione, e coll’esattezza che forma la base della virtù in ogni rapporto, à anche a studiarsi di ciarlatanare con un movimento più vivo o per dir meglio più sfacciatto, colle braccia colle gambe e col corpo tutto, per poi con queste distrazioni, perdere il massimo del vero merito, e aver la fortuna di compiacere così qualche Bottegajo o qualche Ganimede? Ditelo voi per mè se ò ragione. Addio”. Le sue lettere costituiscono un vero e proprio catalogo dei principali artisti del suo tempo, visti ad iniziare dall'adolescenza a Mantova fin dal 1772, come Gabriella Tagliaferri Rizzoli (ricordata da Frizzi come “la Gabrielli”), Cesare Molinari e Nicodemo Calcina; il tenore Giacomo David e il musico Tommaso Consoli, sempre a Mantova durante la primavera del 1780, il musico Giovanni Rubinelli e la prima donna Anna Pozzi, il  tenore Matteo Babbini e il soprano Luigi Marchesi;  il napoletano Gennaro Luzio, il bolognese Stefano Mandini e il romano Serafino Blasi, Gasparo Pacchiarotti, Giovanni Rubinelli, Maria (or Marina) Balducci, Franziska Le Brun e moltissimi altri.

 

Fabrizio Loffi


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