25 ottobre 2021

Castagne, biligòt e Cremùna 'ndua in stràada se véend la patùna

C'era un tempo in cui nella stagione autunnale e in quella invernale la castagna per i cremonesi diventava il punto di riferimento. Arrivava dalle montagne bresciane o bergamasche, dal piacentino, dal Piemonte o dalla Toscana. Bollita, secca, fatta saltare in padella, usata come farina, pronta per la “patùna” o per il castagnaccio più raffinato della Vigilia di Natale, la castagna si presta a tanti usi.

Un proverbio cremasco recita: “an dal mis da utobre: funs, castègne e giande ga n'è semper tante”.Ma come faceva la castagna ad arrivare dalle nostre parti dalle zone di produzione. “Svolgeva un'azione di collegamento tra queste zone di raccolta e le aree di distribuzione una categoria di venditori: i castegnì che giungevano in autunno con un carretto carico di castagne e risiedevano per tutta la stagione invernale in qualche cascina del nostro circondario da cui partivano per una capillare vendita a domicilio – racconta “la crema di Crema” il bel libro di Pier Luigi Ferrari e Marco Lunghi – Caratteristico di questo mercato ambulante era il sopravvivere di un antichissimo costume tipico delle popolazioni agricole: il baratto per il quale il venditore 'al faa so e so col melgot”...Sappiamo del caso di un operatore originario di Cedegolo in Valcamonica, che aveva come riferimento abitativo l'azienda agricola di Martì Cavrér, suo conterraneo ma residente da anni ad Offanengo, impegnato una volta la settimana a raggiungere la vetusta stazione ferroviaria di Soncino per ritirare i sacchi di castagne inviate dai familiari dalle montagne e spedire a casa sacchi di granoturco”.

                                                                                     Ciucaròoi, biligòt e farina di castagne

Probabilmenente non esiste nessun dialetto in cui la castagna abbia così tanti nomi come in quello cremonese: castàgna, ciucaròol (castagna secca), mùundui (castagna secca), biligòt (castagna secca lessata). E poi “el filsòon” castagne cotte al forno e infilate a mo' di collana o “le filse” cremasche con le castagne cotte in ammollo e lasciate pendere dai soffitti dei fruttivendoli.

L'è en bròot de biligòt” per faccenda non chiara, poco limpida, torbida come il brodo di castagne secche. “Batesàat cun l'àaqua de biligòt” era la definizione dello sciocco come non battezzato con l'acqua e con il rito del sale ma con il brodo dolcissimo dei biligòt.

Secondo Giorgio Maggi il termine Biligòt, cioè castagne secche bollite con zucchero e miele, deriva dal tedesco (“billigt Gott”, cioè "Dio approva").

La ricetta dei “biligòt” è semplice. Ingredienti: 500 gr. di castagne secche, zucchero a volontà, 2 cucchiai di miele. Si mettono le castagne secche nell'acqua per un paio d'ore, poi si cerca di levare la pellicina. Poi vanno messe al fuoco in abbondante acqua e si fanno bollire finchè sono tenere, si aggiungono poi zucchero e miele e si lasciano bollire per un quarto d'ora.

In alcuni paesi nei mesi invernali fino agli anni Sessanta, girava un uomo con un carretto sgangherato su cui c'era un grande paiolo di rame. Vendeva i biligòt. Girava per i paesi gridando: “biligòt càalt”, e subito dopo “biligòt buièent” e poi aggiungeva “ a sura el brot per nièent” e quando arrivava un cliente, con il mestolo riempiva la scodella poi ripartiva: stesso passo, stessi ritornelli.

Dalla molitura della castagna secca – si legge ancora in “la crema di Crema” - si traeva infine una finissima farina che costituiva la croce e la delizia dei più piccoli, in quanto l'acquisto in bottega di ben confezionati 'scartusì' entro cui voracemente immergere la bocca, era all'origine di facce imbiancate degne di maschere catatoniche e di gole e nasi bloccati con sintomi da soffocamento”. Da noi la farina di castagne veniva venduta nei bar degli oratori in apposite bustine e, per gustare meglio la dolce farina, si usava una liquirizia che si immergeva nella farina. Di solito la si prendeva prima di entrare nel cinema dell'oratorio e la si assaporava lentamente durante la proiezione del film

                                                                                               La patùna

Come dice Umberto Sterzati nel ritornello delle sue stornellate cremonesi (sue parole e musica) : "Óo Cremùna, Cremùna, Cremùna, la cità del gràan Turàs, ‘ndùa in stràada se vèend la patùna cun le véerše, ‘l turòon e i spinàs".  Dunque Cremona e patùna è un binomio inscindibile.

El patunèer in dialetto cremonese è il venditore di “patùna”. Uno che tutti ricordiamo è Renzo Conconi, detto “Cireneo”, abitava in zona san Pietro, forse in via Belfuso. Con il suo carretto vendeva caldarroste e "patùna" in piazza Cavour (ora Stradivari). Occhiali spessi e al dito una sorta di guanto blu diventato quasi nero per la fuliggine per evitare di scottarsi con la “fournèla”, il braciere circolare su cui cuoceva le castagne. Gli ultimi tempi vendeva le castagne in sacchetti di carta, prima faceva con maestrìa dei coni con i fogli del giornale.

Un altro mitico venditore di "patùna" era a Castelleone Jacchetti, detto "el Bèlo", parente del comico televisivo Enzo Jacchetti. 

Secondo Lidya Visioli Galetti l'origine della patùna è toscana (castagnaccio). “A Cremona il suo nome cambia, non più maschile ma femminile. Una volta, nella stagione invernale, dopo le castagne, “la patùna” era la delizia dei bambini e degli studenti. Si vendeva sui carrettini, nei negozi dei fruttivendoli e in bottegucce specializzate dove non si vendeva altro”.

Un tempo in diversi negozi di fruttivendolo si facevano le caldarroste e i bambini guardavano incantati la bravura con cui si mescolavano le castagne facendole saltare nella padella bucata che si alzava dal trepiedi con sotto il fuoco. Ricordo una fotografia di un fruttivendolo all'angolo tra corso Vittorio Emanuele e via Porta Po Vecchia che aveva sopra il trepiedi con il fuoco una lampadina che si accendeva e spegneva e la scritta “caldarroste con forno elettrico”, un trucco per apparire moderno.

                                                                                   La ricetta della “patùna” di Cremona

Gli ingredienti della “patùna” pura e semplice sono pochi: farina di castagne, acqua, olio, zucchero. In una zuppiera si mette la farina e a poco a poco si versa l'acqua finchè si avrà un composto piuttosto liquido, quindi si aggiungono un paio di cucchiai di zucchero, si versa in una teglia unta d'olio e un po' di olio si mette sulla superficie che non deve essere molto alta e si fa cuocere nel forno caldo. Quando avrà fatto una crosticina “screpolata” è cotta.

Altra ricetta. Ingredienti: un kg di farina di castagne, una tazza di latte, un cucchiaio di cacao, due cucchiai di zucchero, una presa di sale, un cucchiaino di lievito, olio quanto basta. Il procedimento è uguale al precedente. (Lidya Visioli Galetti)

 

Nella foto Renzo Conconi detto "Cireneo" vendeva caldarroste e patùna in piazza Cavour, oggi Stradivari. Foto di Giuseppe Faliva (1962)

 

 

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti


R. Daguati

25 ottobre 2021 08:29

Grazie per questo bell'articolo da chi è nata in via del sale e ricorda questo mondo povero ma dignitoso e pieno di umanità.