18 ottobre 2021

Cremona, il regno dei fasoi. Fasulìin de l'òc, cudeghe. "E uva passa nei codeghini"

                                                                   "PER FAR CODEGHINI CREMONESI..."

“Per far codechini cremonesi. Prendi per ogni peso di carne da codeghino Onzie tre pepe polverizato, Onzie sette sale come sopra, Onzie 6 uva passa, Libre una miele ben disfatta al fuoco, Onzie una canella fine. Grani garofolo polverizato, aglio quantum satis”. E’ la descrizione di come nel Seicento si faceva il cotechino cremonese, con uso di uva passa e miele, secondo una ricetta scritta su un frammento di pergamena spuntato dagli archivi di una parrocchia di Guastalla e ritrovato dal restauratore di documenti antichi Luciano Sassi da Isola Dovarese.

Non deve stupire l’uso dell’uva passa, utilizzato nel Cremonese anche per la mortadella, secondo un ricettario ottocentesco della famiglia Ala Ponzone Cattaneo. Così come l’uso del miele per ottenere un gusto più dolce. Non dimentichiamo infatti che per la preparazione del cotechino chiamato “vaniglia”, non tanto per la presenza di questo elemento ma per il suo sapore, ancora oggi le carni, macinate a grana media, vengono condite con sale, zucchero, vino e una concia di aromi naturali tenuti in infusione nel vino rosso.Secondo la tradizione la storia del cotechino risale a tempi antichissimi: la leggenda narra che il cotechino fu creato nel 1511 dai cittadini della corte dei Pico di Mirandola per meglio conservare la carne dei maiali, durante il lungo assedio alla città da parte delle truppe di Papa Giulio II della Rovere. Il prodotto iniziò a diffondersi verso la fine del '700, quando arrivò a sostituire la salsiccia gialla, che aveva reso celebre Modena già nel Rinascimento. 

In realtà le zone di produzione risentono molto degli influssi della storia e del ruolo che Cremona ha avuto in tempi in cui era la capitale del Po, dei commerci e degli scambi. Infatti le riserve di carne, i più grandi allevamenti di animali in genere, già in passato era localizzati sulle rive del Po, nella Bassa lombarda ed in Emilia, per poi estendersi con il tempo e con i vari sconvolgimenti politici ed economici, anche in altre zone. Resta comunque significativo che la produzione del cotechino si limiti ad alcune zone dell’Italia settentrionale lungo l’asta del Po, dove il clima umido invernale è più rigido. In questa zona si moltiplicano la varianti del cotechino. A Modena l’impasto è di grana molto più grossa e viene insaccato nella cotica degli zampetti anteriori del maiale, una volta tolte e mantenute in fondo le dita dei piedi, da cui il termine di “zampone”. In alcune zone del Cremonese e del Piacentino si usa “il cappello del prete”, caratteristico insaccato nella cotenna di maiale cucita ad arte, di forma triangolare, stretto in morsetti formati da coppi di palette di legno, ci sono poi il cotechino Brianzolo oltre a quello piemontese di Brà. (f.l.)

 

                                                                                            CREMONA, LA PATRIA DEI FAGIOILI

“Tasta Bigio che pùc, l'ha fat la mama Rosa cui fasulìin de l'ùc”. L'abbiamo sentito tutti da bambini questo modo di dire cremonese. Oppure quando si va in un posto per avere risposte a una domanda e si torna senza averle avute: “sunti andàat fasòol e sunti turnàat curnèt” oppure il modo di dire : “rìis e fasòoi” per dire "fare confusione". Insomma la nostra cultura è piena del legume per eccellenza. Fagioli “annegati” in tutte le salse...dall'insalata di leguminose lessate e condite con olio e aceto, ai fagiolin con l'occhio in minestra con le cotiche per la Festa dei Morti, alla classica zuppa di fagioli conditi con lardo pestato (la pistàada), alle fave “rostide”.

D'altra parte Cremona, come ricorda la storia, è sempre stata la patria dei fagioli.

Nel “Baldus” di Merlin Cocai (Teofilo Folengo) si legge: "si mangiare cupis fasolos vade Cremonam” “se fasoli voi mangiar, vai a Cremona” e nella "Secchia Rapita" di Giovanni Tassoni:”...con quattro mila suoi mangiafagiuoli/stava Buoso da Dovara alla campagna...”. Dunque cremonesi divoratori di fagioli, abitanti di una Città a forma di grande nave (magna phaselus) che diventa per assonnanza anche la patria dei “magna phasolus...” ovvero mangia fagioli.

Nel dicembre del 1385, fagioli avvelenati sono l'ultimo pasto di Bernabò Visconti, condottiero di Cremona e vittima delle diverse fazioni cittadine. Secondo il Bresciani nel XVI secolo si benedicevano i fagioli nella chiesa di san Tomaso (dove c'è adesso il supermercato Carrefour in piazza Lodi). Inoltre dal duecento fino al secolo XVI secolo i cremonesi festeggiarono la vittoria sui parmensi avvenuta, guarda caso, ...in un campo di fagioli. E' forse per questo che Tommaso Garzoni lamenta che “i fagiuoli Cremonesi si dolgono somamente d'essere in odio al formaggio Parmigiano...”.

Nel Liber de ferculis (il libro dei piatti) e nel Liber de ferailis (libro della selvaggina) et condimenti, Giambonino da Cremona si sofferma sulla gastronomia e dietetica araba traducendo libri di cucina e dietetica di Ibn Jazla tra l'XI e il XII secolo. Nella grande cucina principesca orientale compaiono elaborate ricette a base di zucchero, mentre i legumi raramente costituiscono un piatto importante. Si può trovare una zuppa in agrodolce di lenticchie decorticate e un condimento alla cipolla per i fagioli dell'occhio. Il fagiolo detto dell'occhio è riconosciuto come cremonese e si differenzia dagli altri fagioli, detti turcheschi, perchè è più piccolo ed ha “un occhio nero nel ventre”.

Il feldmaresciallo Radetzky, governatore militare del Lombardo-Veneto nella prima metà dell'800, amava pernottare e pranzare nel castello di Cicognolo, vicino a Cremona. Le cronache raccontano che nel suo menù apprezzava comparissero spesso i delicati “Fisolen”, un'espressione dialettale tirolese per i tedeschi Bohnen, fagiolini in italiano, fasulèen in dialetto cremonese.

A Cremona i fagioli erano cucinati a lesso e conditi con olio e aceto, oppure a caldo nella zuppa di fagioli e cotiche o cotenna di maiale, insaporita dalla pistàada e preparata nel giorno dei Morti. (Giorgio Maggi)

 

 

                                                LA RICETTA:  Fasulin de l'òc cun le cudeghe di Pizzighettone

 

Partirà il 29 ottobre e fino al 7 novembre la 29a edizione dei "Fasulin de l'òc cun le cudeghe 2021" nelle casematte di Pizzighettone. Quest'anno la prenotazione è obbligatoria e coloro che vorranno degustare i fagiolini dovranno essere forniti di green pass. Per tutte le informazioni potete contattare: info@fasulin.com – tel 320 1643838.

Ecco la ricetta fornita dal Gruppo Volontari Mura di Pizzighettone.

Dosi per 6 persone:

3 carote, 1 cipolla, 1 porro, 1 costa di sedano, 3 cucchiai di passata di pomodoto, 1 kg. di cotenne di maiale, 350 gr. di fagiolini dall'occhio di Pizzighettone, brodo di carni miste, carni miste spezzettate (manzo, vitello, osso), olio evo e sale fino qb.

Lessare le cotenne in acqua bollente salata per 10' circa. Scolarle, rasarle, tagliarle a listarelle o a cubetti (a piacere). In una pentola soffriggere nell'olio le verdure lavate e tritate, unire le cotenne tagliate, i fagiolini dall'occhio lavati ed ammollati, la sala di pomodoro, il sale e coprire il tutto a filo con il brodo di carne. Cuocere lentamente per circa 3h e se si asciuga coprire man mano col brodo. Circa mezz'ora prima della fine della cottura aggiungere le carni lessate fatte a pezzettini e private dalle eventuali ossa e grasso in eccesso. Proseguire la cottura fino alla fine, girando di tanto in tanto per evitare che si attacchi al fondo.

Servire in ciotole o scodelle, condire con olio evo e abbondante Grana Padano o Raspadùra. 

Andrea Fontana che ogni settimana tiene su Cremonasera la seguitissima rubrica "Da Cremona alla scoperta del vino", propone questo abbinamento di vini con i fasulin.

I fasulin e più in genere le trippe sono piatti ricchi e sapidi, che richiamano prepotentemente vini di grande ricchezza tannica, magari arricchiti dalla componente carbonica.

Una Bonarda Frizzante dell'Oltrepo' Pavese, un San Colombano Rosso Frizzante, un Gutturnio Frizzante dei Colli Piacentini o un Lambrusco Mantovano (meglio se a base Ancellotta) sono scelte ideali.

Per chi vuole osare di più e non ama le bollicine, ci possiamo spingere su uno Schioppettino di Prepotto friulano, un Cabernet Franc veneto o addirittura un Sagrantino di Montefalco umbro.

Nella foto il mangiafagioli di Annibale Carracci (1595) , il documento ritrovato a Guastalla sul cotechino cremonese e un piatto di fasulìin di Pizzighettone

 

 

 


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