11 ottobre 2021

Nelle nostre osterie ossa di maiale, gripule, polpette e trippa. El Cifùt. Gli gnocchi rosa del lunedì

Il 10 dicembre 1984 l'architetto Luigi Priori (Gino per gli amici) tenne una conversazione al Rotary su “Ricordo di vecchie osterie”. Un racconto appassionato fatto di storie, ricordi, anedotti. Dal mio archivio è rispuntato quel testo di 21 pagine dattiloscritte che ho conservato gelosamente. Ne pubblichiamo una piccola parte, quella in cui Priori raccontava cosa si mangiava nelle osterie cremonesi.(m.s.)

Nelle osterie cremonesi che erano in genere frequentate, specialmente a mezzogiorno, da muratori, manovali, avventizi di fabbrica o di servizi, si preparava anche qualcosa da mangiare. In genere i piatti, sempre poveri, variavano con il variare delle stagioni.

In autunno-inverno giravano per i tavoli enormi zuppiere con "ossi di maiale fumanti", torta di sangue e “gripule”, fagiolini dell'occhio con cotiche ai Morti, padellate di verze “in crauti” con cotechino di forma irregolare chiamato “testöss” che in genere veniva portato da qualche avventore da cucinare all'osteria per poterlo consumare con gli amici. C'erano poi scodelle di “beligotti”, “lattughe e frittelle” a Carnevale. In primavera-estate erano invece “conse” superbe affidate alla fantasia e alla disponibilità momentanea della casa, oppure “tajéer” colmi di uova sode come palle di schioppo, e montagne di insalata o “grügnos” con le “spighe” d'aglio.

I frequentatori di mezzogiorno oltre che muratori, manovali e avventizi erano anche gente di campagna, specialmente nei giorni di mercato. Il primo piatto, quasi sempre una buona trippa, era integrato direttamente dall'avventore con “la scartassa” costituita da salame affettato. Veniva poi servito il formaggio, di solito cacio piccante o “cagnòon”, formaggio grana un po' alterato ma che incontrava il gusto dei consumatori.

La “tara” invece si usava con il bianchino di aperitivo. Spesso veniva segnalato l'arrivo di una fornitura di “tara” in una determinata osteria: “ghè rivàt trenta chili de tara al Bissòn” e la voce correva fra gli amatori.

Il merluzzo veniva fritto solo in determinati giorni. Chi non ricorda l'osteria di Cinto, in via Bordigallo, con il profumo di merluzzo nelle mattine di mercoledì e sabato e le crocchette di patate, le polpettine da accompagnare a “staffette” di frizzantino fresco al punto giusto?

Nelle osterie intorno a Porta Po si poteva trovare anche il pesce fritto di fiume portato direttamente dai pescatori dilettanti o professionisti che lo cambiavano in consumazioni di vino.

La trippa c'era quasi sempre, annunciata dal cartello sulla porta. Veniva consumata a tutte le ore ma specialmente a metà mattina.

A proposito di trippa era famosa l'osteria “de Spurcacìin” in via Beltrami sull'angolo della strada che porta in piazza Marconi. La trippa di “Spurcacìin” era famosa perchè fatta, si diceva, con il brodo d'oca. In effetti ogni tanto si faceva cuocere l'oca, ma spesso nel pentolone c'erano i soliti ossi di gamba di bue che poi servivano per “i nervetti” e un'oca di legno che “Spurcacìin” col forchettone cercava di mandare sotto nel brodo dicendo a voce alta: “fioi, l'è cota, l'è cota”.

Altra osteria famosa per la trippa era “la Famiglia” in via Ala Ponzone. C'è sempre il cartello grande “Oggi trippa” e la trippa c'è ed è veramente buona. I tavoli sono in un magnifico salone rococò con autentici stucchi eleboratissimi e un camino meraviglioso.

Giravano nelle osterie i venditori di ceci, di castagne calde, di lupini, di “gallette” con la “cavagna” al braccio, il misurino per la vendita. Passavano per i tavoli offrendo la loro mercanzia con annunci declamati del tutto personali.

D'estate erano molto ricercate le osterie con pergola e gioco di bocce. Erano frequentatissime le osterie di Porta Mosa e di “strada Canòon”, ormai scomparse o trasformate con “Cittadella” e “Melini”. C'era il clan dei giocatori che poi si spostavano da una osteria all'altra per tornei interminabili, seguiti dai sostenitori e dai “siur”, i segnapunti e giudici di gara. D'estate si beveva vino fresco di cantina. Il massimo della variazione era una bibita dolciastra, il “Sinalco”, oppure si mischiava il vino con la gazzosa in bottiglietta a pallina o con uno spruzzo di Selz da sifoni verdastri. (Luigi Priori)

Nella foto di Ezio Quiresi, l'osteria dei tre scalini di via Sicardo nel 1960. E a seguire gli gnocchi rosa del lunedì

                                                                                                          EL CIFUT

Era un dolce povero che utilizzava ingredienti diversi, spesso i cosiddetti avanzi, impastati in dosi opportune e con aggiunta dosata di lievito. La ricetta base proposta dalla Lina è semplice:

300 g. di farina, 4 cucchiai di zucchero, 2 uova, 100 g. di zucchero, 1/4 di latte, 100 g. di burro, lievito istantaneo. Mescola tutto, poi inforna a 180° per 1/4 d'oera e a 150° per un altro quarto d'ora.

Una variante alla ricetta precedente, gradita ai cremonesi del XIX secolo, utilizza l'aggiunta di polenta (3-4 fette), con un opportuno dosaggio del liquido: la consistenza del dolce simile al pan dolce, lo fa denire "pagnòc". Un consiglio avuto sul cifùt tradizionale è: aggiungere alla dose di polenta indicata, 3 manciate di farina bianca, 3 cucchiai di zucchero, burro o strutto e 2 uova.

La Torta di pane, specilità piemontese ma anche della Lombarda Brianza, si può far risalire allo spirito della ricetta del cifùt. Questo dolce prevede l'utilizzo di avanzi come il pane, aggiunti alla formula base del cifut ed arricchiti con frutta secca, candita, uvetta come richiede la preparazione di un lontano budino come il pudding inglòese che come tale non richiede ovviamente il lievito. Interessanti somno le varianti della pasticceria casalinga cremonese nei dolci come "muruzìina" e "firulelu" in cui si fanno praticamente aggiunte di avanzi di polenta (la campagna cremonese è sempre stata coltivata a granoturco da quando Cortez lo importò dal Messico nel 1519 e gli spagnoli si impossessarono del Ducato di Milano nel 1535).

Nel cremonese il cifùt poteva arricchirsi con la cosiddetta "Giazza" (o ghiaccia o lustrata): "una crostata che i cuochi fanno ai dolci con fior di farina, zucchero, chiara d'uova e succo di limoni", formula molto simile alla classica glassa.

Come recita il dizionario del dialetto cremonese per Cifùt si intende sia la focaccia rustica cotta sotto la cenere ma anche una "cosa o persona di poco conto". (Giorgio Maggi)

 

                                    LA RICETTA DE "IL GABBIANO": GLI GNOCCHI DEL LUNEDÌ (1985)

Gnocchi rosa con ragù d'anitra e funghi chiodini. Uno dei nostri piatti storici, in carta ininterrottamente da oltre 30 anni. Ricetta che nasce dalla tradizione contadina, quando la rezidura (in cremonese è la donna che comanda all'interno del focolare domestico) portava in tavola gli avanzi degli arrosti festivi (in questo caso gli avanzi dell'anitra arrosto) e ci condiva le paste povere (e gli gnocchi lo erano) e, a volte, se la fortuna la assisteva, si trovava qualche cespo di chiodini, i funghi selvatici della nostra zona.

Gli gnocchi del lunedì

INGREDIENTI PER 4 PERSONE:

PER GLI GNOCCHI:

  • ➔  1 KG. DI PATATE

  • ➔  300 GR. FARINA 00

  • ➔  150 GR. TUORLO D’UOVO

  • ➔  60 GR. GRANA PADANO

  • ➔  150 GR. RAPA ROSSA COTTA

  • ➔  SALE

  • ➔  NOCE MOSCATA

    PER IL RAGU:

  • ➔  250 GR. CARNE DI ANITRA

  • ➔  OLIO EVO

  • ➔  50 GR. POLPA DI POMODORO

  • ➔  1 BICCHIERE DI VINO ROSSO CORPOSO

  • ➔  1 GAMBO DI SEDANO

  • ➔  1 CAROTA

  • ➔  1 CIPOLLA BIANCA

  • ➔  SALE

  • ➔  PEPE

  • ➔  1 BICCHIERE DI BRODO DI CARNE

  • ➔  1 RAMETTO ROSMARINO

    PER I FUNGHI:

  • ➔  FUNGHI CHIODINI

  • ➔  AGLIO

  • ➔  SEDANO

  • ➔  OLIO EVO

  • PROCEDIMENTO

    GNOCCHI: Lavare le patate e cuocerle intere con la buccia in acqua calda salata. A cottura ultimata, scolarle, sbucciarle e schiacciarle con uno schiaccia patate. Frullare la rapa rossa cotta fino ad ottenere un composto cremoso.

    Impastare le patate schiacciate con la farina, i tuorli d’uovo, il Grana Padano e la rapa rossa frullata. Aggiungere un pizzico di sale e una grattugiata di noce moscata. Stendere l’imposta in piccoli rotoli e ricavare gli gnocchi della dimensione desiderata.

    RAGÙ DI ANITRA: Tritare la carota, il sedano e la cipolla e soffriggerle con un filo di olio evo a fuoco lento fino a che il composto risulta asciutto. Aggiungere la carne di anitra precedentemente tritata e il rosmarino e continuare la cottura a fuoco lento. Dopo circa 10 minuti di cottura, sfumare il bicchiere di vino rosso. Aggiungere la polpa di pomodoro e proseguire la cottura a fuoco lento, aggiungendo il brodo di carne ogni qualvolta il composto di asciughi troppo. Dopo circa due ore la cottura è ultimata.

    FUNGHI CHIODINI: Pulire i funghi chiodini, cuocerli in acqua salata per circa 15 minuti e poi saltarli in padella con sedano tritato, aglio e un filo di oglio evo. A cottura ultimata aggiungerli al ragù di anitra.

    IMPIATTAMENTO: Cuocere gli gnocchi in acqua calda salata, condirli con il ragù d’anitra e i funghi chiodini,

    se necessario utilizzando mezzo cucchiaio di acqua di cottura. Impiattare e decorare con la crema di rapa rossa frullata

Andrea Fontana, responsabile lombardo di Slow Wine e che su Cremonasera tiene settimanalmente la rubrica (da Cremona alla scoperta del vino), propone gli abbinamenti di vini con gli gnocchi rosa.

Gli gnocchi rosa al sugo d’anitra sono un primo piatto gustoso e ricco, profumato dalla presenza dei funghi chiodini. Consiglio l’abbinamento con un vino rosso dalla componente fruttata importante e da leggere note di speziatura e tannino.

Un Marzemino di Capriano del Colle, un Refosco dal Peduncolo Rosso friulano, un Rosso Piceno marchigiano sono ottime scelte. Per gli amanti dei vini bianchi, invece, azzardiamo un Timorasso dei Colli Tortonesi, un Sauvignon dell’Alto Adige o una Vernaccia di San Gimignano, magari con qualche anno di età sulle spalle.

 


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