10 febbraio 2021

"Cremona la ribelle" e Dante Alighieri

Cremona: la ribelle’. Parole di Dante Alighieri. Messe nero su bianco e rivolte all’imperatore Arrigo VII di Lussemburgo. In questo anno di celebrazioni dantesche per il 700esimo anniversario della morte del Poeta, non si può non ricordare questa definizione che il padre della Commedia, diede di Cremona nella sua VI lettera dell’aprile del 1311. Rivolgendosi all’imperatore Dante scrive: “Che cosa, o unico Signore del mondo, credi di aver compiuto quando avrai piegato il collo di Cremona ribelle? Forse che allora non si gonfierà inaspettata la rabbia o di Brescia o di Pavia ? Anzi, quando questa rabbia anche flagellata sarà abbattuta, subito l’altra Vercelli o di Bergamo o altrove scoppierà di nuovo, finché non si elimini la causa di questo tumore purulento (…)”.

Per capire il duro appello dantesco all’imperatore, bisogna inquadrare la situazione storica. Dante, già in esilio con i guelfi bianchi e i ghibellini, aveva visto nell’arrivo di Arrigo in Italia, la possibilità di poter ribaltare la situazione politica a Firenze e far rientro così nella città natale; abbattendo il potere dei Guelfi Neri decisamente antimperiali. Dante fremeva nel voler accelerare il più possibile l’arrivo di Arrigo in terra Toscana.

Ma l’imperatore, già dal gennaio di quell’anno, era in terra lombarda per risolvere i ‘soliti’ problemi con i comuni che, uno dopo l’altro, ero insorti. Non avevano alcuna intenzione di chinare la testa alle pretese imperiali. Cremona è una delle prime a ribellarsi. Si era proprio nel febbraio di quel 1311. Da quel momento, insieme a Crema, fu considerata ribelle e come tale obiettivo dell’ira militare dell’imperatore.

Sotto il cielo di Cremona la confusione fu massima. I tifosi del radicalismo antimperiale, come Guglielmo Cavalcabò, si contrapposero a coloro che cercavano un minimo accordo con Arrigo come Sopramonte Amati suocero dello stesso Cavalcabò. Neppure due mediatori provenienti da Pavia e Lodi, Filippo Langoscio e Antonio Fissiraga, riuscirono a convincere i maggiorenti a trovare un accordo con la corte imperiale.

In questa disfida tutta cremonese finì per prevalere, per ragioni economiche (come scrive non senza un pizzico di giusto sarcasmo lo storico Marco Gentile), l’ala antimperiale di Guglielmo Cavalcabò ; del resto lui teneva i cordoni della borsa del comune. Una decisione che mandò nel panico la città e il suo Consiglio Generale. Cremona si trovò praticamente abbandonata da tutti. Bologna si rifiutò di mandare un podestà al posto del vicario imperiale che aveva lasciato. Firenze ne inviò uno: senza un becco d’un quattrino e praticamente senza un solo soldato per fronteggiare l’esercito imperiale. Nessuno dei finanziatori esterni antimperiali versava più una moneta alle casse vuote del comune per imbastire un minimo di resistenza.

Neanche la sceneggiata di inviare un gruppo di cento cremonesi vestiti da penitenti e con una corda al collo, sortì alcuna misericordia da parte del potere imperiale. Una delegazione ufficiale di cittadini era già stata messa alla porta senza troppi giri di parole. Enrico non li volle nemmeno vedere in faccia. All’inizio di aprile partì l’offensiva finale ed è proprio di quei giorni la lettera dantesca. Esattamente il 26 aprile di quel 1311 Arrigo sfondò le ultime resistenze ed entrò città. Gli antimperiali, vista la situazione, tagliarono la corda; se la diedero a gambe rifugiandosi nella vicina Brescia.

Il 10 maggio successivo partirono le epurazioni: 71 cittadini furono al messi al bando. E così finirono le ‘libertà’ comunali della città. In realtà ‘Cremona ribelle’ resistette ancora fuori dalle mura. Gli antimperiali, dopo essere scappati anche da Brescia caduta anch’essa sotto le armi imperiali nel settembre di quel 1311, si riunirono a Casalmaggiore dove diedero vita ad una sorta di governo ombra anti imperiale con un vero e proprio podestà.

Insomma Cremona ribelle rimase tale anche se fuori le mura. Dante percepì ancor prima dei fatti; la voglia di ribellione e di libertà era rimasta intatta. Il poeta toscano, rimase pure lui deluso dalla discesa di Arrigo VII nonostante le tante speranze. Morì a Ravenna dieci anni dopo questa lettera; ben lontano dalla sua amata ‘Fiorenza’.

Luca Poli


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