12 settembre 2021

Dio domanda perchè l'uomo si interroghi

Che l’uomo ponga delle domande a Dio è normale: la creatura sente prepotente l’esigenza di essere rassicurata, di avere la certezza di aver imboccata la strada giusta, di non aver commesso errori, di vedere esaudita la propria supplica. La creatura ha bisogno continuamente di chiarimenti, suggerimenti, consigli financo rimproveri perché la sua visione del mondo è parziale e limitata. 

Molto strano è che sia Dio a rivolgere delle domande all’uomo: il Signore non sa forse tutto? I vecchi catechismi non lo definivano “Onnisciente e Onnipotente”? Senza dubbio! Dio conosce gli anfratti più reconditi del cuore dell’uomo e non ha bisogno di risposte o chiarimenti. In Lui tutto trova senso e spiegazione. In Lui tutto viene ricapitolato.

In realtà Dio domanda perché l’uomo si interroghi, perché faccia verità in sé stesso, perché impari a scegliere! Non è forse vero che certe domande ci mettono in crisi, ci obbligano a togliere quelle maledette maschere che ci siamo costruiti per difenderci dagli altri, ci costringono ad un combattimento interiore… insomma ci impongono di vivere? Quando una persona afferma “ho smesso di farmi delle domande” significa che sta camminando a marcia ridotta ed ha rinunciato a guardare al futuro con coraggio e speranza perché vinta dalla sfiducia, dal pessimismo, dall’apatia forse anche dal nichilismo.

Le domande, invece, se ben poste, risvegliano la coscienza da un pericoloso torpore esistenziale, rimettono in marcia i cuori stanchi, ricordano che un’esistenza responsabile e propositiva è l’unica che vale la pena di vivere.

La prima grande domanda che Dio rivolge all’uomo la troviamo in Genesi subito dopo che Adamo ed Eva hanno mangiato del frutto dell’albero proibito. Il progenitore, una volta aperti gli occhi si accorge di essere nudo e si nasconde, da qui l’interpellanza dell’Altissimo: “Dove sei?” (Gen 3, 9). Dio sa bene dove è celato Adamo e che cosa ha fatto, ma attraverso queste parole spinge l’uomo a guardarsi dentro, a comprendere il male che ha compiuto, a “ritornare in sé” (cfr. Lc 15,17). Rispondendo a questa domanda egli può riguadagnare quella dignità perduta con la disobbedienza.

Ancora più straziante il quesito che Dio rivolge a Caino immediatamente dopo l’omicidio di Abele: “Dov’è tuo fratello?” (Gen 4,9), un modo delicato ma fermo  per inchiodare il fratricida alle proprie responsabilità così che riconosca il proprio male, non si lasci divorare dal senso di colpa e inizi un cammino di redenzione. Domande che ridestano!

C’è una terza domanda importante, quella che Dio rivolge al profeta Isaia: “Chi manderò? Chi andrà per noi?” (Is 6, 8) e che permette all’uomo di scoprire quanto Dio abbia bisogno di lui per portare a compimento la sua opera di salvezza. Colui che con un semplice schiocco di dita potrebbe sistemare ogni cosa, va quasi a mendicare la libertà dell’uomo affinché la metta al servizio del bene. Domande che affascinano!

Anche Gesù fa tante domande sperando di poter scuotere la tiepidezza, il formalismo, il disincanto dei suoi uditori. Al centro del Vangelo di questa domenica c’è “la domanda delle domande”, quella che, a un certo punto, ogni credente che desidera maturare nel proprio rapporto con Cristo, deve porsi con una certa rigorosità: “E voi chi dite che io sia?”, cioè “Chi sono io per voi?”. La risposta, almeno in teoria, dovrebbe coinvolgere la vita intera. I responsi della folla sono abbastanza prevedibili: c’è chi lo identifica con Giovanni il Battista, il severo moralizzatore del popolo ebraico, o in Elia, il grande profeta, difensore strenuo del primato di Dio o in uno dei tanti profeti sorti per ristabilire la fedeltà all’alleanza. Assimilazioni certamente degne, ma parziali: Gesù non è venuta semplicemente a ristabilire una morale o a richiamare il popolo eletto all’antico patto stipulato con Dio. Gesù pretende di essere “qualcuno” di più grande. Ecco allora che la domanda costringe i suoi discepoli ad interrogarsi con serietà e profondità: “Chi è quell’uomo per me? Cosa rappresenta? Cosa sono disposto a concedergli?”. Il bello dell’esperienza cristiana è che Dio non si manifesta in un libro, in una serie di credenze o dottrine, in una stele o in una statua, ma in una persona viva, in carne ed ossa, che mi fissa negli occhi e attende da me una risposta. Una risposta che, inevitabilmente deve tradursi in fatti concreti di vita. San Giacomo proprio in questa domenica ci ammonisce: “Mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede” (Gc 2, 18).

Lo so, è difficile rispondere a questa domanda e forse, tanti di noi, che magari si dicono credenti e che frequentano regolarmente l’Eucaristia domenicale, l’hanno sempre evitata come la peste. Troppo complicato rispondere perché significherebbe ricapitolare tutta la propria esistenza, mettersi in gioco, prendere sul serio le parole del Vangelo e, non da ultimo, fare i conti con il male che alberga nella parte più intima di sé stessi, perché dove arriva Cristo, la luce vera, non ci può essere spazio per nessun cono d’ombra. Domande che interpellano!

Certo non basta l’entusiasmo di Pietro che risponde in maniera sintetica, ma corretta: “Tu sei il Cristo”. L’entusiasmo, l’intuizione, il cuore sono importanti nel cammino di fede, ma ci vuole anche la ragione e ancor di più la Rivelazione. Non possiamo raggiungere la pienezza del volto di Gesù con le nostre forze e capacità: è la stolta illusione di Pietro, che pensa di aver compreso tutto con quell’arroganza e cinismo tipici di chi si crede arrivato e non cede mai allo stupore.

Pietro vuole insegnare addirittura a Gesù come fare il Messia – un esercizio comune a noi cristiani che usiamo la preghiera per piegare Dio alla nostra volontà – e per questo riceve una sonora bastonatura: “Viene dietro a me”, cioè “Metti i piedi dove li ho messi io, seguimi in maniera radicale e sappi che è con la debolezza e non con la forza, con l’amore e non con la potenza, con l’umiltà e non con la gloria, con la sconfitta e non con la vittoria che salverò il mondo”. Perché solo perdendo la propria vita, cioè solo morendo a sé stessi, che l’uomo la ritroverà, trasfigurata, nella luce maestosa del Cielo.

Dio continua a fare domande, tocca a noi decidere se rispondere o languire nella tiepidezza e nella mediocrità. Conficcati nel cono dei nostri peccati.

Claudio Rasoli


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