31 dicembre 2023

1954, quando settant'anni fa la televisione arrivò in paese, a Gussola. In oratorio il primo apparecchio. La melunera, la balera, il cavallo del Negar, le bici

Dopo la breve notte estiva e appena albeggiava i rondoni prendevano il volo nell'aria ancora fresca e, aleggiando tra brevi e rochi richiami, si portavano in alto nel cielo, quasi sotto le nuvole;  poi veleggiavano lassù, in completo silenzio per l'intera  giornata, mentre sulla piazza, senza l’ombra di un albero verde, dardeggiava e affannava la canicola. Arrivato il tramonto col cielo arrossato, tutti quanti attorno alla cuspide del campanile i rondoni si esibivano a frotte folte  e a grida spiegate in vertiginosi caroselli acrobatici con un frullare allegro di ali nere. In quell'ora un paio di carretti stracarichi di fieno arrivava all'abitato e spariva dietro il grande portone del loro fienile, lasciando per terra qualche traccia del carico. Talvolta quando la prima ombra della sera già copriva tutte le case e le strade del paese, grazie all'aria limpida e  a qualche nube che creava riflessi ardenti al  sole ormai sotto l’orizzonte, una luce  brillante e viva  indugiava ancora  a lungo nel cielo chiaro, sopra i tetti neri, e infine l'azzurro in alto tendeva al giallo, al rosato e al blu; i passeri, i gatti e i ragazzi sparivano dai vicoli e la gente si ritirava per la cena. L'indomani, giorno di festa, al pomeriggio i ragazzi e i giovanotti facevano capannelli davanti alle due sale cinematografiche, ai lati opposti della piazza assolata e bianca di polvere, per scegliere lo spettacolo e per commentare le locandine fissate su due tavole di legno appoggiate al muro, a fianco dell’entrata. Spesso i piccoli manifesti rappresentavano scene di armati a cavallo e di selvaggi appostati ai margini di praterie sconfinate. Il tema dello spettacolo consisteva allora nella lotta eterna tra l'istinto infallibile dell'indigeno americano mezzo nudo e gli altrettanto infallibili strumenti della civiltà moderna, cioè le armi dei tutori della legge e quelle dei cavalleggeri in giacca blu. La domenica sera i due cinema arredati con i vecchi sedili di legno erano spesso gremiti di spettatori attenti e un grande successo avevano appena ottenuto “I dieci comandamenti” di Cecil de Mille e “Sentieri selvaggi” di John Ford. 

D’estate, per ritrovarsi, una alternativa al cinema erano le “melonaie” dove all'aperto,  seduti sopra una rustica panca, davanti a un tavolaccio grezzo, si mangiava una fetta di anguria; la melonaia era un capanno di canne palustri che durava una sola stagione e veniva allestito in aperta campagna, sotto l’ombra garantita di un pioppo frondoso e sulla riva di un fosso con l'acqua che scorreva e che allora  era ovunque viva, trasparente e frequentata da rane gracidanti e da diafane libellule azzurrine; poco distante, nel campo, si coltivavano le angurie e i meloni che venivano raccolti di mano in mano che maturavano; il prodotto pronto da tagliare stava al fresco immerso nell'acqua del fosso, il resto si ammonticchiava per terra dentro il capanno e veniva venduto come prodotto «d'asporto». Durante la fiera di metà Agosto allestivano la “balera”, impiegando leggeri pannelli in legno,  con i loro fissaggi predisposti, e una copertura in pesante tela bianca che nella sera frenetica della festa lasciava passare, diffondendo per tutta la piazza, le mazurche e i valzer suonati con fisarmonica e clarinetto; poteva entrare solo chi sapeva ballare, cioè i ragazzini sempre curiosi erano esclusi per non creare troppa ressa. 

Ogni estate  un ragazzo annegava nei vortici del Po dove si tuffava per un bagno, e un mietitore moriva, preso da malore in mezzo ai campi, sotto il solleone: prendeva un colpo di sole e se ne andava. Quell'anno dall'acqua fu ripescato morto Tuì, unico figlio di una povera vedova: mentre ronzava mestamente il ventilatore che teneva lontano le mosche dal viso, Egidio vide l'amico esangue, illividito e immobile adagiato sopra il letto rigonfio di piume che neanche si schiacciavano sotto quel tenue peso. 

Il partito delle classi sociali meno agiate era insediato stabilmente alla guida dell'amministrazione del paese. Il suo giornale ampiamente diffuso veniva consegnato con regolarità  a coloro che non ne erano abbonati e lo portava il nonno di Natalino, il quale, placido e cordiale, si spostava sempre in bicicletta qualunque fosse il tempo: piovoso o soleggiato. Alcuni lo ricevevano solo la domenica e, pur essendo un giornale un po' fazioso, trattandosi di un organo di partito, esso era certamente una pubblicazione senza paragone rispetto quelle di ora, perché annoverava tra le sue firme tutti i più apprezzati uomini di cultura che si erano distinti in Italia in ogni campo del sapere. Dietro il municipio avevano appena costruito l'impianto dell'acquedotto e, sovrastando i tetti delle case, faceva bella mostra il serbatoio cilindrico in cemento, appoggiato in alto, sopra lunghi pilastri in calcestruzzo. L'acqua corrente arrivava in tutte le case del paese e per annaffiare gli orti funzionavano le motopompe elettriche come quella richiesta alla Cartiera e faticosamente ottenuta neanche otto anni prima. Da quell’anno però l’acqua non fu mai più un bene libero e gratuito, anzi talvolta qualche autorità imparò ad usarla come mezzo conveniente per drenare quattrini erariali. Nel campo sportivo si giocavano vere partite di calcio, ogni paese con la sua  squadra: gagliardetti, arbitro professionista, tornei e spettatori paganti, i quali assistevano alle partite in piedi dietro un recinto segnato da un unico lungo filo di ferro; le strisce del campo erano tracciate a mano con la polvere di gesso versata sopra l'erba selvatica del prato rasato con la falce a mano e  non propriamente perfetto. Noto in tutto quanto quell'universo, l'allenatore della squadra del paese, il Gian, non si limitava a leggere la “Gazzetta dello Sport” e ad ascoltare alla radio i programmi sportivi della domenica, come facevano i suoi colleghi, ma nei momenti cruciali si recava perfino a Milano per assistere dal vero e personalmente, come intenditore, alle partite decisive.  

Sopra la superficie di alcune pareti lisce, che si affacciavano sulle strade dei crocicchi, cominciavano ad apparire vasti quadrati  dipinti con l'azzurro e che mostravano la sagoma di un trattore con le grandi ruote motrici e il muso proteso verso il successo; sul bordo si leggeva: “Sistema Ferguson” , era pubblicità primordiale e riguardava le nuove macchine agricole che in breve tempo sostituirono nei lavori campestri tutti gli animali da soma. In confronto con quelli che si vedono attualmente nelle aziende agricole quei mezzi potrebbero sembrare macchine minuscole, ma allora svolgevano egregiamente tutte le operazione fino a quel tempo affidate ad un quadrupede. L'ultimo cavallo a sparire dalle strade fu quello del Negar, il padre vecchissimo dell'Angelinata, biondiccia, mento appuntito, occhietti glauchi, dinoccolata e rugosa, essi col biroccio trasportavano segatura e corteccia essiccate di pioppo da bruciare nelle stufe per riscaldamento e, d'inverno, nei loro spostamenti la figlia riparava il padre dal freddo, incastrandolo, intabarrato, tra i sacchi polverosi che occupavano il carretto: vi spuntava solo la testa coperta da un berretto nero. 

Quasi tutti in paese possedevano la bicicletta e sulle due vie principali, quella che portava al capoluogo, Cremona, e quella che andava verso il cimitero, si aprivano molti negozietti e  molte botteghe ben avviate di artigiani, fornai, orologiai, ferramenta, venditori di sementi, arrotino, ciclisti, mercerie; i calzolai facevano zoccoli con il legno di pioppo, Nìni,il macellaio, esponeva sulla parete esterna del negozio i quarti di bue da frollare. Molti artigiani parlavano volentieri con i clienti e nelle loro botteghe verso sera si ritrovavano per fare chiacchiere; esisteva anche una Cassa Rurale alloggiata in un piccolo ufficio. Una decina di osterie e caffè mostravano l'insegna colorata dipinta sull'intonaco sopra la porta di ingresso, il loro autore era quasi sempre Riodante, il quale sapeva fare certamente qualcosa di più che il semplice imbianchino; in molte decorazioni la parola “Caffè” veniva allora sostituita da “Bar”, perché questo termine appariva più moderno; le osterie disponevano di un cortiletto interno dove si poteva giocare a bocce sotto l'ombra piacevole e leggera  di un pergolato d'uva-fragola.

 Il parroco, Don Gino, non usava più il vecchio motorino “Mosquito”, che era un congegno da appendere al manubrio della bicicletta per farla spingere tramite un cilindro rotante appoggiato sulla ruota anteriore, e ora nelle sue visite si muoveva sopra una Lambretta scoppiettante; alcuni più fortunati, e perfino una signorina un po' matura, tra le prime in paese ad indossare pantaloni femminili, correvano più veloci con la “Vespa”. Erano in pieno sviluppo due fornaci per laterizi e tre fabbriche per legno compensato: vi lavoravano anche numerose donne, le quali nell'intervallo del lavoro di mezzogiorno percorrevano in bicicletta la strada principale coprendola con drappelli affollati, ciarlieri e colorati. 

Il primo apparecchio televisivo in paese era stato acquistato per l'Oratorio da Don Everardo, era un ingombrante contenitore cubico in legno con un grande occhio quadro che si accendeva di luce fluorescente, animando figure in bianco e nero. Gli spettacoli iniziavano a metà pomeriggio con la durata di un paio d'ore, quindi  ricominciavano all'ora di cena per arrivare quasi a mezzanotte; dopo,  per qualche tempo ancora, trasmettevano una figura geometrica con cinque cerchi raggiati, chiamata monoscopio, e poi più nulla. All'Oratorio, quando sullo schermo della televisione iniziava ad apparire quell'antenna vertiginosa che si avvitava tra le nuvole, accompagnata da una musica in crescendo e colma di percussioni con cembali e piatti , cessavano tutti i giochi all'aperto, cessava il chiasso,  e tutti i ragazzi erano già seduti sulle panche in attesa della “TV dei ragazzi”. Tra uno spettacolo e un altro spesso capitava  qualche interruzione o un intervallo, nel quale non venivano trasmessi petulanti messaggi pubblicitari, ma vedute panoramiche di località mai prima nominate, come  Civitabagnoregio, che mostrava in primo piano placidi greggi al pascolo. Per attirare clienti, ben presto  alcuni bar acquistarono il loro apparecchio televisivo e i programmi trasmessi diventarono occasione di chiacchiere e di discussioni tra amici e conoscenti. Dopo cena il più seguito nei bar era il primo spettacolo serale come “Lascia o raddoppia” e i clienti erano diventati numerosi anche nei giorni non festivi. Dopo una certa ora di sera, a gruppetti, essi tornavano verso casa a piedi e le strade scarsamente illuminate da  poche lampadine pubbliche risuonavano ancora brevemente di commenti, di richiami e di qualche raro schiamazzo scherzoso. Si capiva che alcuni, i quali pochi anni prima versavano in condizioni economiche disperate, non erano riusciti efficacemente nella operazione del loro riscatto sociale, costoro infatti tornavano ancora più tardi in stato di ubriachezza avanzata, a volte cantando con voce stridula in maniera sgangherata, a volte ripetendo frasi sconnesse con parole appena ascoltate e guardavano sospettosi e in tralice le poche persone che avevano occasione di incrociare. 

Poco alla volta l'apparecchio televisivo cominciò ad entrare nelle case dei privati, però gli eventi e gli spettacoli giudicati più interessanti, come le grandi partite di calcio, erano seguiti ancora nei bar così da avere la possibilità di parlare e di discutere immediatamente sui fatti appena accaduti e anche di motteggiare qualcuno di diversa fazione. Fu in seguito che in Italia la televisione divenne un avvenimento consueto e privo di stimoli tranne che di quelli consumistici tanto da giustificare pienamente l’appellativo di strumento di “distrazione di massa”. 

Il medico “condotto” del paese per una visita, invece che cinquecento Lire come prima, ne chiedeva mille, abitava lungo la strada principale in una villetta stile anni venti e viaggiava con un'elegante automobile “Lancia”. I proprietari delle fabbriche si muovevano con una potente “Alfa Romeo” che superava appena appena i 120 chilometri all’ora; i pochi altri che possedevano l'automobile avevano o una minuscola “Fiat Topolino C” oppure una “Fiat 1100” un poco più comoda; in giro non si vedevano auto straniere e i ragazzi per apprezzare un modello di auto che appariva per la prima volta, guardando attraverso il finestrino, controllavano le cifre che si leggevano sul tachimetro per valutare la potenza del motore. Comunque per gli spostamenti e la mobilità ordinaria si apprezzavano molto anche i piccoli furgoni e i camioncini. Era allora che sui giornali si parlava di una grande strada la quale da Milano, senza presentare ostacoli di salite ripide o di tornanti o di incroci pericolosi o di semafori, arrivava fino a Napoli. Era “larga due corsie”, ma non una destra e una sinistra, bensì due destre e due sinistre; oltre il Po, a Parma erano già in corso i lavori e si raccontava che i cantieri fossero giganteschi. Ad ottobre il tempo non era piovoso e la stagione, in declino, faceva luccicare, per l'intera giornata, la rugiada caduta di notte sulle foglie paonazze delle viti, sulle ragnatele iridescenti stese sui recinti e sulle erbe inselvatichite ai bordi delle strade. Alcuni ragazzi, giovanotti imberbi, frequentavano le scuole superiori nella cittadina a otto  chilometri dal paese,  Casalmaggiore; essi si trovavano al mattino di buon tempo, sulla piazza con la loro bicicletta e quindi, pedalando, partivano in piccole schiere, c'erano Egidio, il figlio del barbiere, il figlio del maniscalco, il figlio del sensale e altri se ne accodavano attraversando i paesi intermedi. A Novembre la nebbia si appiccicava al cappotto, alla fronte ed ai capelli tanto che all'arrivo i ciclisti studenti si ritrovavano tutti infradiciati. Spesso le biciclette, piuttosto vecchie, erano le stesse usate dai loro padri qualche lustro prima per spostarsi regolarmente nei loro viaggi, tuttavia avevano appena emanato un codice moderno per cui esse dovevano essere modificate e dovevano dotarsi di catarifrangente giallo sui pedali, di fanale con dinamo, di gemma posteriore, di freni e di campanello. Una volta i Carabinieri fermarono il drappello dei ciclisti diretti a scuola e furono multati di cinquecento Lire Egidio, perché non aveva il campanello e Peppino, perché non aveva il fanale: una lezione era stata impartita, però una rabbia stupita guastò tutta la giornata ai due malcapitati. Le scuole superiori non erano come le scuole elementari o le medie, queste rappresentavano un percorso di cui alcuni anche in paese avevano già esperienza, le prime erano terreno inesplorato per tutti: insegnanti rigorosi, nuove materie di studio; chissà qual'era lo scopo da raggiungere e quali i mezzi conoscitivi da saper dominare. Le poesie non erano più quelle bonarie di Pascoli, di Manzoni e di Carducci, le quali dovevano solo essere ricordate a memoria, ma ora si dovevano apprezzare i suoni armoniosi, le luci intense e i colori vivaci emanati da versi che giungevano nuovi come quelli di Foscolo e di Leopardi e si profilavano perfino delle idee e delle passioni sociali, che sembravano vivide anche se erano già state tutte sterilizzate e mantenute negli ambiti dei secoli passati. Egidio si chiedeva soprattutto perché le sue compagne di classe fossero così interessate ai ragazzi più grandi, egli aveva un fisico normale e robusto: era così importante avere un personale alto, slanciato ed aitante? Capitava che esse ridessero con lui in allegria, ma l'incanto del sorriso riservato ai giovanotti universitari era tutta un'altra cosa. 

Arrivava Giugno. All'ingresso dei casolari si avvertiva l'aroma intenso del basilico e quello del limone maturo; sul tramonto le fioriture di belladinotte addossate al muro aprivano le corolle gialle e ciclamino. Dopo il gran daffare estivo e dopo la mietitura molti campi spogli rimanevano a riposo e sui terreni disseccati restava il silenzio e qualche fiore pallido del vilucchio; dietro le case coloniche invece i passeri facevano gazzarra attorno ai recinti dei pollai. Nelle stalle spalancate ai voli delle rondini il profumo fragrante del fieno sovrastava l'afrore pizzicante del letame. I lavori agricoli diventavano un po' meno pressanti, perché occorreva solo rivoltare il fieno e irrigare il granoturco con l'acqua che i canale e i fossi portavano, dal Po, fino ai campi più remoti. Anche quando era in secca estiva il Po spingeva sempre una grande massa d'acqua, però non seguiva una via sola all'interno di un unico canale, ma con alcune vene poco profonde serpeggiava placido sopra quella vasta distesa di sabbia che dall'alveo arrivava alla sua sponda sinistra, questa si mostrava sempre inselvatichita e coperta da sterpi e da salici martoriati dalle piene. Il greto ampio che rimaneva asciutto emanava un alito cocente; dove c'era un po' di limo cresceva la bardana con le sue enormi foglie verdi; il resto era solo sabbia candida e polverosa che sotto il sole quasi a picco si arroventava e abbagliava la vista; nei lievi avvallamenti filtrava l'acqua che allora formava vaste pozze tiepide e trasparenti dove era gradevole bagnarsi. In quelle domeniche attorno ad esse molti giovani del paese trascorrevano il pomeriggio afoso. Arrivavano a gruppetti numerosi in bicicletta fino al folto d'alberi più vicino, vi lasciavano i pochi abiti ammonticchiati sopra la sella e, in costume da bagno, saltellando per non bruciarsi i piedi sulla sabbia, giungevano al limite dell'acqua; qualcuno portava una stuoia per sedersi, altri un fiasco di acqua fresca, chi era amico di un barista riusciva a farsi prestare un vecchio ombrellone, già usato per riparare dal sole i tavolini disposti all'esterno del bar e che recava la pubblicità di una birra; i ragazzi giocavano a palla o guazzavano nell'acqua bassa oppure vagavano incuriositi tra i relitti di alberi che, levigati dall'acqua e dal sole, spuntavano qua e là dalla sabbia. Le ragazze formavano capannelli festosi e variopinti che ben presto venivano attorniati dai giovanotti; i più vigorosi si tuffavano dove l'acqua era più profonda e sfidavano la potenza della corrente; chi sentiva il bisogno di un salvagente, da casa portava già gonfia una camera d'aria  di automobile. 

I sabbiari, in paese ce n'erano ancora due, usando una barca larga e nera, nonostante la forza della corrente, col bel tempo indugiavano a lungo in mezzo alle acque del Po nei punti a loro noti, dove affiorava qualche piccolo isolotto sabbioso: spalando a mano, caricavano la sabbia sulla barca e la portavano a riva per venderla come materiale edile. Un sabbiaro ormai anziano non aveva figli maschi, ma due femmine ed erano costoro che l'aiutavano nel suo mestiere. Il lavoro che esse praticavano sotto il sole, manovrando quotidianamente con remi e badili, data l'età giovanile aveva scolpito il loro fisico, rendendolo asciutto, scattante, ben tornito, con una pelle ambrata e luminosa come un velluto di seta. Avevano modi piuttosto spicci, tuttavia quando la domenica erano sulla spiaggia del Po non erano mai lasciate sole dai giovanotti e fu giudicato infame lo scherzo fatto da qualche ignoto ammiratore deluso, o strapazzato, il quale rubò gli abiti dalle biciclette delle due ragazze, costringendole a tornare a casa in costume da bagno, cioè quasi nude, come allora, sogghignando, si raccontava. Il sessantotto liberatorio non era ancora arrivato.

In paese si cominciava ad avvertire vagamente qualche sintomo di un più vigoroso sviluppo delle condizioni sociali, tuttavia questi sintomi provenivano soprattutto dalle grandi città e ben presto Gussola avrebbe conosciuto un sottile e ininterrotto stillicidio di partenze tra i braccianti e tra i piccoli artigiani tentati dalle nuove occasioni che giungevano dalle aree industriali più celebrate. Alcuni si trasformavano in portinai per i numerosi palazzi che stavano rapidamente invadendo le periferie metropolitane, altri in manovali per i magazzini delle fabbriche.

Un giorno ha chiuso il suo negozio anche il barbiere di vicolo Gardinazzi: « Per aprire un nuovo negozio di parrucchiere a Milano?» Si chiedevano i vecchi clienti: In realtà si trattava di «toelettatura per cani». Questo suscitava perplessità, perché nessuno immaginava che gli animali da compagnia sarebbero diventati così numerosi fino a rappresentare per molti ora una nuova florida fonte di guadagno. (7-continua)

La foto è di Ezio Quiresi ed è del 1957. L'attesa per "Lascia o raddoppia" all'osteria del Mutilato

Giorgio Peri


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commenti


PierPiero

31 dicembre 2023 09:30

Che splendido articolo...
Io sono nato pochi anni dopo ma alcune scene erano ancora attuali, nelle estati passate in vacanza in campagna.
La balera e ancora di più la melunèra mi hanno riportato alla mente delle estati fantastiche, dove tutto era poco ma sapeva di tanto. Forse l'esatto contrario di ora, dove abbiamo tanto ma spesso sa di poco.

Iles da PIADENA

31 dicembre 2023 18:23

Una magnifica fotografia complimenti