28 aprile 2024

Dobbiamo solo scegliere di rimanere!

“Dio che ha iniziato in te la sua opera la porti a compimento”. Nella liturgia di ordinazione sacerdotale, subito dopo la promessa di obbedienza del candidato, il Vescovo pronuncia questa frase che è tratta dalla lettera di Paolo ai Filippesi (Fil 1, 6). In maniera molto essenziale viene sottolineata una grande verità: non si sceglie di diventare preti, ma si accoglie una chiamata; si dice “sì” ad un progetto che Dio aveva già pensato, fin dalla fondazione del mondo. E questo vale per tutte le vocazioni: da quella religiosa o missionaria fino a quella matrimoniale. Non è forse anche questa una bella notizia? Il Creatore ha scritto nel nostro cuore un futuro fecondo, compiuto e gioioso: nella libertà l’uomo deve aderire o rifiutare. Se pronuncia il suo “eccomi” realizzerà sé stesso, con tutte le fatiche e gli errori tipici dell’umano, se alzerà i tacchi e percorrerà un’altra strada proverà sempre nel cuore una mescolanza di inquietudine e di nostalgia. 

È, questo, un dato di fede che ci consegna una tranquillità liberante: se Dio mi ha voluto prete, suora, missionario, marito, padre, moglie, madre, mi darà anche la forza di sostenere le prove, i fallimenti, i tradimenti, gli insuccessi, le incomprensioni. Se davvero mi vuole qui e mi ha condotto fino a qui, certamente non mi abbandonerà nel prossimo futuro, ma seguiterà a darmi il vigore per affrontare le avversità e il male provocato dagli altri o dal peccato. È chiaro che il credente deve fare tutto quello che gli è possibile per mantenersi fedele, fecondo, propositivo, ma con la consapevolezza che Dio gli è accanto e che non permetterà mai che un suo figlio soccomba. Ciò non vuol dire essere al riparo dai problemi, dalle contrarietà, dalle difficoltà, ma esse non saranno mai così grandi da poter mettere in dubbio la risposta data a Dio dopo un robusto e orante discernimento.

Tanti giovani di oggi sono così arrabbiati e ribellati perché, fondamentalmente, non sentono di appartenere a nulla: a nessun affetto, a nessuna storia, a nessun progetto e tutta la loro energia e carica di vita, invece che impiegarla nel bene, la scaricano nella violenza e nell’aggressività.

“Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla”. Le parole che Gesù ci consegna in questa quinta domenica di Pasqua non lasciano spazio al dubbio: lui è la stella polare della nostra vita, lui il fondamento del nostro umano, lui la fecondità del nostro operare, lui il motore del nostro agire, lui l’identità profonda del nostro essere.

Mi ha colpito la testimonianza di un mio amico prete: “La mia fede è poca e povera, ma non posso pensarmi al di fuori di Cristo”. Così è anche per me: la mia adesione a Lui vacilla continuamente, il mio peccato mi fa spesso soccombere, i miei dubbi mi soffocano in continuazione, ma non posso pensare la mia vita al di fuori di Cristo: non lo raggiungerò mai del tutto, ma so che lontano da lui sarei solo un disperso, un infelice, un incompiuto. A Lui mi aggrappo per intuire almeno la potenza e la forza dell’amore.

Nel Vangelo di oggi mi colpisce quel suo invito incessante: “rimanete in me”! Che bello: non devo conquistare o meritare nulla, sono già immerso nell’amore di Dio, il mio unico sforzo è quello di “rimanere”! Per “rimanere”, però, occorre anzitutto “riconoscere” di essere investiti di tanta attenzione e tanta cura da parte di nostro Signore! Occorrono occhi che penetrino nel profondo il quotidiano e questa vista particolare ci è data solo da una preghiera intensa e fervorosa, da una vita spirituale non banale, ma rigorosa, pianificata con cura, direi quasi meticolosa!

Un secondo aspetto che emerge dalle parole del Maestro è la drammaticità della nostra libertà: siamo noi, unicamente noi, a scegliere se essere realizzati o incompiuti, felici o dolenti, lieti o tristi. L’essere con Lui o senza di Lui farà la differenza! Se scegliamo di rimanere in lui non ci saranno evitate le difficoltà, le sofferenze, forse anche i fallimenti, ma non saremo soli ad affrontarli: Cristo ci permetterà di vivere questi momenti non come dei tagli, ma come delle potature! E il vignaiolo pota i tralci non per eliminarli o farli soffrire, ma perché siano ancora più fecondi. Lo dico tremando: la sofferenza, la prova e le contrarietà se vissute con Cristo umanizzano ancora di più e offrono alle persone uno sguardo diverso, più autentico, più compassionevole, più indulgente nei confronti degli altri e della realtà. In fondo anche l’amore, come anche ogni vocazione, richiede delle potature: se guardiamo solo ciò che l’amore (o la vocazione) ci toglie allora saremo sempre degli infelici e dei frustrati, viceversa se puntiamo l’attenzione su ciò che ci offre allora guadagneremo davvero una vita compiuta. E con Lui sarà eterna.

Claudio Rasoli


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