1 giugno 2023

C'è un po' di Cremona in Toscana. A Malgrate e Filetto in Lunigiana si conserva l'idioma degli antichi feudatari, i cremonesi Ariberti

«USTARIA VECIA - Roba nustrana».

L'insegna non sorprenderebbe certamente se campeggiasse sopra l'ingresso di un locale di casa nostra, ma scoprirla in un minuscolo paesino arroccato su uno sperone di roccia dell'Alta Lunigiana e scoprire che non solo nel locale, ma nell'intero paese (Filetto di Villafranca) e lì vicino, a Malgrate, si parla un quasi perfetto idioma cremonese ("can de la bissa" è una delle espressioni tipiche della zona) lascia un poco esterrefatti e la voglia di scoprire come sia possibile ove tutt'intorno le parlate sono essenzialmente quella ligure, appena al di là della Magra che scorre ad un paio di chilometri nel fondovalle e quella toscana (siamo in provincia di Massa, ad una decina di chilometri soltanto da Pontremoli).

Il fenomeno comunque non è unico perché una trentina di chilometri più avanti, nella stretta gola della valle di Vagli, una laterale della Garfagnana, esiste la frazione di Ferriere ove si parla ancora il bresciano (i Medici vi avevano trasferito nel XVI secolo qualche centinaio di operai prelevati in Val Trompia per lavorarvi il ferro di una miniera locale).

E' vero che i contatti di questa zona con Cremona furono molti: Pontremoli, unitamente a Cremona, venne data in dote a Bianca Maria Visconti quando andò sposa allo Sforza e successivamente tennero banco gli scambi commerciali (sale contro granoturco e frumento) e non era infrequente la presenza nelle nostre terre il caso di braccianti che venivano a lavorare nei periodi di mietitura, ma questo non basterebbe a giustificare una parlata conservatasi praticamente intatta dopo tanti secoli se non si ricordasse che quelle zone appartennero per parecchi anni ad una delle famiglie più antiche, conosciute e potenti della nobiltà cremonese, quella degli Ariberti che probabilmente, nel momento di prender possesso dell'allora feudo di Malgrate, vi trasferirono alcuni dei loro sudditi cremonesi.

Il fatto avvenne nel 1641 quando il Marchese Bartolomeo Ariberti acquistò all'asta il feudo dagli Spagnoli che avevano costretto Cesare Malaspina di Malgrate a cederlo a Filippo III Re di Spagna in cambio dei giardini del Castello di Milano di cui però non gli fu mai concesso di godere.

Il feudo rimase in mano alla famiglia cremonese sino al 1745 quando, per via di eredità femminile passò alla famiglia genovese dei Fraganeschi che ne rimasero in possesso sino al 1836, fatta salva la breve interruzione del periodo napoleonico, in cui i diritti feudali vennero soppressi.

Il feudo, uno dei più ricchi della Lunigiana (essendo situato sul passaggio della via Francigena consentiva l'esazione di dazi e pedaggi da chiunque vi transitasse) venne venduto per la somma di oltre 70.000 scudi e comprendeva le tra splendide località di Malgrate, Filetto e Bagnone, tutte dotate di un castello e tuttora perfettamente conservate in uno splendido isolamento che le rende uniche nel panorama degli oltre centocinquanta castelli della Lunigiana.

Filetto, il Borgo di fondovalle, sorge nel punto in cui il torrente Bagnone esce dalla sua stretta valle per sfociare nella larga e fertile pianura alluvionale che lo porta poi a gettarsi nella Magra: sono i campi più fertli della Lunigiana.

Il borgo possiede un impianto urbano rigidamente quadrangolare avente caratteristiche planimetriche rispondenti alle misure canoniche assegnate da Vitruvio al castrum romano: le porzioni in muratura, il ricordo della Chiesa castrense ed il toponimo di chiara etimologia greca col significato originario di «fortezza» ne denunciano l'origine certamente bizantina anche se i primi documenti storici lo rilevano solo nel tardo medioevo. L'antica chiesa parrocchiale conserva ancora i quattro busti dei più autorevoli rappresentanti della famiglia Ariberti.

Malgrate che sorge invece su di un contrafforte dell'Appennino a poche centinaia di metri di distanza, è in pratica costituita dal solo castello a ridosso ed entro il quale sorgono poche case: un pugno di case aggrumate intorno al possente dongione del castello situato su di un lato del palazzo feudale in posizione dominante sull'intera vallata della Magra.

Bagnone è nel complesso la località più spettacolare: svetta da lontano con quell'immenso torrione rotondo che è la più bella e meglio conservata delle antiche torri cilindriche della Lunigiana ed è l'unica struttura superstite del castello originario oggi scomparso ed in parte inglobato in edifici minori. E' invece rimasta intatta la struttura medievale del primitivo borgo, articolato in anelli semilunari degradanti verso il fondovalle alla sommità dei quali, nei pressi del muro di cinta della villa, è ancora la piccola quanto splendida chiesa di San Nicolosio.

L'acquisto del titolo e del feudo degli Ariberti

Gli Ariberti erano già all'apice della nobiltà non solo cremonese quando, in epoca di dominazione spagnola, le sorti della famiglia si trovarono nelle mani di Bartolomeo, scapestrato uomo d'armi amante più delle ribalde compagnie, delle risse e del gioco che del desiderio di portare avanti le sorti della sua progenie, ma che aveva in mille modi saputo accrescere enormemente il capitale familiare.

Già Ferdinando II, infatti, gli aveva concesso nel 1623 l'investitura di libero barone e di marchese del Sacro Romano Impero, titoli che venivano dati solo a chi poteva permettersi di pagare profumatamente, quando, nel 1641, comprò il feudo di Malgrate pagandolo la bellezza di 70.750 scudi e, contemporaneamente per il figlio Giacomo Francesco, il titolo di Chierico di Camera Apostolica per la contropartita di 55.000 scudi: una carica che, se se ne compara il prezzo a quello del vastissimo feudo della Lunigiana, doveva consentire di ricavarne redditi altissimi.

La lunga storia degli Ariberti e di Malgrate nasce proprio in quello stesso anno in cui Giovanni Maria, fratello maggiore di Bartolomeo nominò erede universale di tutti i suoi beni il nipote Giovanni Battista, figlio di Bartolomeo, stabilendo una perpetua primogenitura in linea maschile che, nel caso si fosse estinta la primogenitura, doveva passare, in assenza di figli nati da regolare matrimonio, a quelli eventualmente legittimati.

Bartolomeo, alla morte del fratello, si inseri nell'amministrazione dell'eredità del figlio non ancora venticinquenne estromettendone i legati testamentari e divenendone in pratica il padrone assoluto. Il feudo venne acquistato, facendo uso dei denari della eredità, dal Governo spagnolo che aveva bisogno di ingenti entrate per pagare gli arretrati ai mercenari svizzeri e allo stesso prezzo a suo tempo pagato ai Malaspina. Ne facevano parte boschi e selve, prati e vigne oltre che castagneti, molini ed acquedotti: comprendeva gli abitati di Malgrate, Filetto, Mocrone, Orturano, Trolco, Castagneto e Isola.

Era un vero e proprio stato in cui l'Ariberti poteva vantale la potestà di mero e misto imperio e la giurisdizione sopra le persone con diritto di nominare i castellani, i pretori, i fiscali e tutti gli altri ufficiali. Fu in questa zona, oltre tutto particolarmente salubre, che Bartolomeo si ritirò, ormai stanco di una vita avventurosa condotta per decenni in spregio a qualsiasi legge del buon vivere, afflitto dalla gotta e dalle malattie tipiche dell'età e fu qui che spirò all'età di 82 anni, il 9 giugno del 1649 lasciando quattro figli: Gian Battista, Giacomo Francesco, Girolamo ed Anna.

Bartolomeo Ariberti, l'esponente di maggior fama della famiglia cremonese, quello che si assicuro il feudo di Malgrate ove trascorse gli ultimi anni della sua vita avventurosa, era il tipico rappresentante della corrotta nobiltà durante il dominio spagnolo in Italia: giocatore e spadaccino, dopo aver girato le capitali di mezza Europa e servito in pace un gran numero di signori con i dadi in una mano e la spada nell'altra, temerario e fortunatissimo, riusci sempre a portar a casa la pelle nonostante qualche leggera ferita subita in duelli e battaglie.

Tornato a Cremona e sposatosi, trovò modo di attaccar brighe con tutti e in tutti i modi: Offredi, Affaitati, Dati, Oscasali, Sommi, Picenardi, Cannobbio, Persichelli, Gerenzani cercarono a più riprese di sopprimerlo o bandirlo dalla città, mai riuscendovi, ma subendo per contro gravi perdite. Una volta, sorpreso a Calvatone da un Offredi, i suoi più acerrimi nemici, gli venne uccisa tutta la scorta in una furiosa battaglia: lui solo riusci a sfuggire rifugiandosi nel castello di Monticelli Ripa d'Oglio. Un'altra volta, inseguito, riuscì per poco a salvarsi chiudendosi nella chiesa di S. Vito, vicino a casa, ove rimase assediato per giorni sino a quando il bargello Lodovico Schizzi potè liberarlo per arrestarlo e portarlo a Milano. Qui, dopo un anno di prigionia, si pagò, in contanti, il prezzo del riscatto e le spese di mantenimento (chi veniva impiccato doveva pagarsi il soggiorno, il boia, la corda, il becchino con supplemento per compensare il fisco di chi non poteva pagare) e le cariche nobiliari di cui poi andò fiero per tutta la vita.

66 anni di liti per l'eredità

La famiglia degli Ariberti fu, dalla fine del medio Evo, una delle più importanti in Cremona: lo prova il fatto che portasse quel nome una delle porte della città, quella che si trovava all'altezza di Via Ponchielli sul Corso Vittorio Emanuele, che esistesse pure un cantone Ariberti, divenuto poi alla fine del settecento Vicolo Stella, fra Corso Mazzini e Piazza Filodrammatici, un palazzo ed un teatro dello stesso nome, poi scomparsi col venir meno del ramo principale della famiglia.

Ma che erano gli Ariberti? Esclusa la discendenza dai re longobardi Ariberto I e II che a loro volta pretestuosamente dicevano di scendere dalla Gens Flavia, più probabile è la discendenza da Ariberto d'Intimiano, il famoso arcivescovo di Milano che occupò Cremona nel 1021: figura storica di grande prestigio appartenente al ceto dei vescovi-conte che avevano a lor volta la facoltà di investire i vassalli minori, i valvassori.

La sua famiglia possedeva beni cospicui in Val Brembana e la Corte di Intimiano (Il titolo di Signore di Intimiano e di Cantù fu sempre portato dagli Ariberti). Combattivo ed ambizioso, più uomo di spada e di Stato che di cattedra, può considerarsi l'ultimo grande conte-vescovo: dopo di lui, inventore tra l'altro del carroccio, nasce il libero comune e al vescovo rimane la sola autorità spirituale.

Durante una delle sue tante scorrerie su Cremona, la conquistò e vi insediò i suoi parenti Arzago e Dovara. Il ramo degli Ariberti, cui sarebbero appartenute altre famose famiglie cremonesi: Campi, Botti, Remoschi e Redenaschi, accumulò moltissimi titoli nel corso dei secoli: conti di Castelnuovo Bocca d'Adda nel 1311, Decurioni di Cremona nel 1474, Libero Barone e Marchese del Sacro Romano Impero nel 1623, Marchese di Malgrate nel 1641 e possedevano edifici in molte strade e parrocchie cremonesi, da San Paolo a S. Bartolomeo, S. Omobono, San Vito e S. Matteo.

Uno dei personaggi più noti della famiglia, a cavallo tra storia e leggenda, sarebbe stato Padre Cristoforo, il famoso cappuccino dei Promessi Sposi, battagliero e rissoso come tutti i membri della sua famiglia prima del noto episodio che lo portò in convento.

Un'altra dimostrazione di quanto nota fosse la famiglia e il carattere dei suoi componenti. Il Marchese Bartolomeo Ariberti si spense in Malgrate il 9 giugno del 1649 e qui venne seppellito nella piccola chiesa di San Giuseppe mentre tutte le sue proprietà andarono al primogenito Giovanni Battista che nel frattempo aveva sposato donna Giulia Rangoni da Spilamberto: un matrimonio che Bartolomeo non aveva veduto di buon occhio essendo venuto a sapere della sterilità della donna che infatti non ebbe figli. Giovanni Battista era stato eccellente uomo d'armi combattendo al servizio dell'Imperatore in Fiandra, in Germania ed in Portogallo ottenendo una delle più ambite onorificenze di Spagna, quella di Cavaliere di San Giacomo della Spada ed era succeduto al padre infermo nel decurionato di Cremona.

Non aveva avuto eredi legittimi, ma due figli naturali: Elena che venne tacitata con una buona dote e si fece suora e Bartolomeo che era ancora minore quando il padre mori nel 1671, ma che la matrigna dovette amare come suo se è vero che ne assunse la tutela e ne difese con estrema decisione gli interessi nella causa intentatagli dagli Stanga, una causa che questi avevano iniziato quando Bartolomeo aveva solo sei anni e che si protrasse ben oltre la sua morte avvenuta a 59 anni nel 1724. Il Conte Camillo Stanga, figlio di Anna Ariberti, si era infatti aggrappato al testamento del nonno Bartolomeo proclamandosi suo unico erede e sostenendo l'incapacità a succedere del cugino in quanto bastardo e adulterino nonostante l'avvenuta legittimazione. Il Fisco di Milano aveva poi immediatamente preteso la restituzione del feudo di Malgrate invalidando la vendita fatta nel 1641 e lo Stanga. ottenuto da Vienna l'appoggio dell'Imperatore, aveva occupato coi suoi soldati il feudo depredando e vendendo tutto ciò che vi poteva essere asportato. Donna Rangoni, però, rispose da par suo ottenendo dal Re di Spagna l'ordine immediato per il Governatore di Milano e per il Granduca di Toscana di rendere il feudo agli Ariberti anche manu militari, ed in fatti il 12 febbraio del 1672 Rodrigo Antonio de Guitana alla testa di una pattuglia di soldati spagnoli e per ordine del Tribunale di Milano prese possesso del castello di Malgrate sottoponendo a giuramento di fedeltà tutti i sudditi.

Giulia Rangoni rivolse allora una nuova petizione al Tribunale di Milano sempre in difesa di Bartolomeo che si risolse in suo favore e contro gli Stanga solo alla fine del secolo, ma neppure lei vide la fine della vertenza in quanto mori a Cremona nel 1686 dopo però di aver pagato al Fisco qualcosa come 8 mila scudi.

L'antico feudo di Malgrate e i suoi ameni territori (un'ampia e soleggiata vallata che si apre sul corso della Magra ed è punteggiata da molti castelli, paesi e borghi medievali perfettamente conservatisi nei secoli) è facilmente raggiungibile e può essere meta della passeggiata di un giorno anche partendo da Cremona. Una volta usciti dall'Autostrada della Cisa al casello di Pontremoli, si scende in direzione di Aulla e al primo paese, Villafranca, si volta a sinistra: subito si incontra il borgo di Filetto, la cui strada principale porta ancora il nome di Contrada Ariberti. Si attraversa il paese e poco dopo un bivio a sinistra porta a Malgrate mentre proseguendo diritto si raggiunge Bagnone, già visibile da lontano data la sua posizione piuttosto elevata.

Altre località della valle che fecero parte del feudo e che vale la pena di visitare sono Filattiera, Virgoletta, Treschietto, Castiglione del Terziere, tutte dotate di castelli ben conservati e raccolte nel giro di non più di cinque chilometri attorno alla collina di Malgrate.

Cesare Castellani


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