1 marzo 2023

La nuova provincia Lodi-Crema e il podestà scomodo

Nel precedente articolo pubblicato su questo giornale l’8 settembre 2022, dal titolo “Crema e la sua autonomia provinciale”, si è tratteggiata una sintesi degli avvenimenti che hanno portato, nel periodo intercorso tra la conquista napoleonica e il riordino amministrativo del Regno d’Italia sabaudo, alla perdita dell’autonomia provinciale da parte di Crema e del suo territorio, con l’assegnazione di questa antica provincia autonoma di Terraferma veneta alla provincia di Cremona.

Come è noto, i gravi e ricorrenti conflitti storici tra Crema e Cremona sono molto più risalenti rispetto a quel periodo temporale. E iniziano ben prima del governo di San Marco, durato a Crema dal 1449 al 1797, con la parentesi del triennio francese 1509-1512. Sin dai tempi di Bonifacio di Canossa e di sua figlia Matilde, poco dopo l’anno Mille, le varie prese di possesso cremonesi dell’area del Cremasco si sono infatti alternate a periodi nei quali, per parecchio tempo, Cremona ha perso ogni potestà, di fatto e di diritto, su Crema e sul suo territorio. Per un migliaio di anni non è corso buon sangue tra l’attuale capoluogo di provincia e l’Insula Fulcheria. Forse oggi il velo del tempo ha reso meno aspra questa contrapposizione e il peso di queste memorie non grava più negativamente tra le due città come in passato. Del resto, i tempi della Serenissima a Crema e della dominazione spagnola e poi asburgica a Cremona sono ormai lontani. E tanto le abitudini di vita e di pensiero quanto le componenti demografiche sono molto cambiate, sia a Crema che a Cremona.

Anche le aspre lotte con Lodi hanno caratterizzato l’andamento delle vicende storiche cremasche, sin dalla prima epoca comunale, con i noti episodi dell’assedio di Crema da parte imperiale (1159-1160) e con gli scontri militari di quell’epoca tra Cremaschi e Lodigiani. Infatti, insieme agli imperiali e ai Cremonesi, in quei giorni alla fine di gennaio del 1160, erano stati i Lodigiani a mettere a sacco, distruggere e incendiare la città stremata da sette mesi di assedio. Tuttavia, mentre tra Crema e Cremona le rivalità e le ostilità si sono sempre mantenute storicamente su livelli molto elevati di conflittualità e irriducibilità reciproca, tra Crema e Lodi ci sono invece stati, sia pure nel generale e ricorrente scenario di reciproco antagonismo e contesa, anche alcuni momenti nei quali, più per forza di necessità che per intima sintonia, i Cremaschi e i Lodigiani si sono mossi in sinergia verso obiettivi comuni. E questo pure in termini di autonomia amministrativa provinciale. Probabilmente anche perché, contrariamente a quanto accaduto con Cremona, non ci sono stati troppi imperatori, papi, sovrani, presidenti o “ras” che, nel corso dell’ultimo millennio, hanno tentato di assoggettare i Cremaschi ai Lodigiani. Per lo meno, non in maniera ufficiale e istituzionale.

Un esempio di questi rari momenti di convergenza verso un obiettivo comune è stato quello del tentativo, operato in epoca fascista dai Cremaschi e dai Lodigiani, di ricostituire la precedente provincia Lodi-Crema, abolita dalla legge 23 ottobre 1859 n. 3702 (la cosiddetta “legge Rattazzi”), che aveva assegnato Lodi e il Lodigiano alla provincia di Milano e Crema e il Cremasco alla provincia di Cremona. Va però detto che, prima del ventennio fascista, Crema e Lodi si erano mosse in modo divergente nel tentare di rimediare alla perdita della loro autonomia provinciale. Avevano cioè quasi sempre cercato di riottenere il riconoscimento provinciale in modo disgiunto e autonomo, senza la riedizione del precedente comune Dipartimento dell’Adda all’inizio del periodo napoleonico (1797-1798) o della provincia Lodi-Crema durante il Regno Lombardo-Veneto austriaco (1816-1859). Si veda, per questi precedenti assetti amministrativi territoriali, il citato articolo “Crema e la sua autonomia provinciale”, pubblicato su questo giornale nella sezione “Storia”. Prima del tentativo consensuale operato da Crema e Lodi in epoca littoria, è opportuno quindi fare breve cenno a questi precedenti tentativi disgiunti da parte dei Cremaschi e dei Lodigiani.

Sin dal 1859, Lodi si era opposta all’accorpamento alla provincia di Milano. Varie testimonianze scritte, contenute in opere a stampa e articoli di giornale, lo testimoniano con chiarezza. Ad esempio, nel 1868 la giunta municipale di Lodi, presieduta dall’avv. Pietro Beonio, avanzava una petizione al parlamento nazionale, per “rivendicare un posto che nessuno può negare a Lodi nella storia dei comuni italiani”, quello di capoluogo di provincia. A Crema, prima della legge Rattazzi dell’ottobre 1859, il dott. Guido Albergoni (lo scritto era ufficialmente anonimo ma era noto che l’autore fosse l’Albergoni) redigeva e pubblicava, a favore dell’autonomia provinciale di Crema, una memoria di una ventina di pagine, ben documentata ed espressa in maniera molto convincente: “Alcune parole su una Riforma che si spera nel nuovo Riparto provinciale della Lombardia”, Milano, Tipografia G. Redaelli, 1859. In calce al testo la data, 4 settembre 1859, e come firma la locuzione “Un Cremasco”. È una pubblicazione molto utile per comprendere la posizione che avevano allora i Cremaschi sull’argomento dell’autonomia provinciale, concordemente ritenuta meritata e necessaria. L’opera si può consultare presso la Biblioteca di Crema, con segnature “Misc. Braguti 29/7” e “29/14” (il fascicolo è presente in due copie, con l’annotazione a penna, su entrambi i frontespizi, del nome dell’autore).

Allo scritto dell’Albergoni fa subito eco, richiamandolo in modo esplicito e consensuale, l’ing. Carlo Donati De’ Conti, con una sua memoria di una quindicina di pagine: “Sullo scompartimento territoriale della Lombardia e sui probabili eventi della città di Crema. Memoria dell’ing. Carlo Donati De’ Conti”, Milano, Tipografia Ronchetti, 1859. Da alcuni cenni ivi contenuti pare di arguire che anche questo scritto sia stato redatto appena prima della pubblicazione, sulla “Gazzetta Piemontese - Giornale Ufficiale del Regno” di martedì 1° novembre 1859, del testo della legge Rattazzi emanata il precedente 23 ottobre. Personaggio notissimo e parecchio apprezzato a Crema, anche l’ing. Donati esprime considerazioni molto approfondite e raccomandazioni ben fondate a favore dell’autonomia provinciale cremasca. Al suo testo è anteposta una mappa territoriale esplicativa di notevole interesse, con le aree che si propone di includere nella provincia cremasca da ricostituire. Verso la fine della sua memoria, Donati suggerisce che, se proprio il Cremasco deve essere ridotto a rango di mero Circondario (come in effetti la legge Rattazzi sta disponendo), tale Circondario venga inserito nella provincia di Bergamo e non in quella di Cremona, argomentando in tal senso, anche qui, in modo molto valido, adducendo ragioni storiche, economiche, demografiche e culturali più che convincenti. Il fascicolo si può consultare presso la Biblioteca di Crema, con segnatura “Misc. Cremasca B/1268”.

Anche a Crema, come a Lodi, abbiamo poi ulteriori testimonianze scritte, contenute in opere a stampa e in articoli di giornale, che testimoniano l’opposizione al comparto amministrativo territoriale introdotto dalla legge Rattazzi, dopo che questo provvedimento è entrato in vigore. Sia l’Eco di Crema, sia l’Amico del Popolo, nonostante le loro aspre contrapposizioni politiche ed elettorali, pubblicano vari articoli sull’argomento. L’Amico del Popolo arriva anche a prendere in considerazione l’ipotesi di una riedizione della precedente provincia Lodi-Crema, ad esempio negli articoli comparsi sui numeri dell’11 e del 18 luglio 1861 e del 24 aprile 1862. In ogni caso, l’opera che maggiormente testimonia la volontà dei Cremaschi di riottenere il proprio rango di provincia autonoma è probabilmente “Crema e la sua autonomia provinciale”, Milano, Tipografia di Giuseppe Bernardoni, 1861. Ne è autore l’avv. Francesco Sforza Benvenuti, uno degli uomini più in vista nello scenario politico e culturale cremasco del tempo. Sulla genesi, sui contenuti e sui collegamenti istituzionali di questo scritto di una quarantina di pagine, che fornisce supporto a una petizione ufficiale datata 28 aprile 1861, inviata alle autorità centrali del nuovo ordinamento nazionale, si veda il precitato articolo “Crema e la sua autonomia provinciale”. Il fascicolo si può consultare presso la Biblioteca di Crema, con segnatura “Misc. Braguti 16/9”.

Veniamo ora al tentativo consensuale operato in epoca fascista dai Cremaschi e dai Lodigiani per affrancarsi, rispettivamente, dalle province di Milano e di Cremona e per ricostituire una provincia autonoma Lodi-Crema, rimuovendo la situazione amministrativa territoriale in essere dal 1859. Sono i Lodigiani a riprendere per primi, con un’iniziativa ufficiale, il discorso autonomistico. L’avv. Andrea Ferrari, poco dopo la Marcia su Roma, alla fine del 1922, rilancia a Lodi l’idea di una nuova provincia Lodi-Crema, con un’eco giornalistica (sul “Progresso” e su altri organi di stampa) che muove l’opinione pubblica locale e fa riemergere il tema dell’autonomia amministrativa di Lodi da Milano. Va tenuto conto del generale contesto nazionale. Il nuovo governo fascista sta già mettendo mano ai comparti territoriali amministrativi. Nel 1923 sono istituite le tre province di Spezia, di Trieste e dello Ionio. Nel 1924 vengono create le tre province di Fiume, Pola e Zara. Alla proclamazione del Regno d’Italia, il 17 marzo 1861, le province erano in tutto 58. Dopo l’acquisizione del Veneto con Mantova nel 1866, del Lazio nel 1870 e, dopo il primo conflitto mondiale, della Venezia Tridentina fino al Brennero e della Venezia Giulia, il numero delle province era salito nel complesso a 70. Con le suddette sei nuove province fasciste, il totale sale a 76. Non solo a Lodi ma in diverse parti d’Italia la spinta al riconoscimento di nuove realtà provinciali si fa progressivamente più forte. Successivamente, anche in ragione della scelta del fascismo di articolare le circoscrizioni territoriali statali solo su due livelli (quello comunale e quello provinciale, rinforzando quello provinciale), con la soppressione di circondari e mandamenti, nel 1927 si aggiungono altre 17 province: Aosta, Vercelli, Varese, Savona, Bolzano, Gorizia, Pistoia, Pescara, Rieti, Terni, Viterbo, Frosinone, Brindisi, Matera, Ragusa, Castrogiovanni (ora con il nome di Enna) e Nuoro. Si sopprime la provincia di Caserta. Il totale arriva così a 92. Nel 1934 si aggiungerà la provincia di Latina e nel 1935 quella di Asti. Le cose cambieranno poi dopo l’ingresso in guerra dell’Italia e quindi con i nuovi assetti repubblicani.

A Crema si comincia a guardare a Lodi con interesse e sono in parecchi a sperare in un distacco dalla provincia di Cremona e in una ricostituzione della provincia Lodi-Crema, anche alla luce dei vari riassetti territoriali che il fascismo sta operando. Presso l’Archivio di Stato di Cremona è consultabile un’interessante relazione del Questore al Prefetto di Cremona del luglio 1930, in cui si fa cenno alla “aspirazione di alcuni comuni posti all’estremo limite della provincia (si intendono qui Crema e i municipi del suo territorio, n.d.a.) di essere aggregati ad altre province ed in specie a quella di Milano o in special modo ad una ricostituita provincia Lodi-Crema, che trova nel cremasco moltissimi fautori. Per tale complesso di cause la zona cremasca tende a sfuggire al controllo della provincia e si attacca con più facilità al movimento delle zone vicine”. La relazione si può consultare con i riferimenti “Prefettura, Ufficio di Gabinetto, b. 93, f. 8.2.4”.

Nel 1931, nel decennale della fondazione del fascio di combattimento lodigiano, costituito nel febbraio del 1921, l’avv. Andrea Ferrari ripropone a Lodi la costituzione della provincia Lodi-Crema e pubblica uno studio ben articolato e ponderato su questo progetto. Il documento viene inviato sotto forma di memoriale direttamente a Benito Mussolini e, sia a Lodi che a Crema, si moltiplicano le prese di posizione favorevoli a tale proposta, in numerose sedi istituzionali, politiche e culturali. Da subito, in entrambe le città, è chiaro a tutti che le principali resistenze verranno dai rappresentanti pubblici delle due province di Milano e di Cremona. E, soprattutto, dal potentissimo “ras” di Cremona Roberto Farinacci, un fascista abituato a regolare i conti con gli avversari da lui ritenuti scomodi in modo tanto violento quanto spregiudicato. La questione di un’eventuale provincia Lodi-Crema si pone però come molto seria e viene presa in considerazione da diversi ambienti politici fascisti, a vari livelli, creando diversità di opinioni all’interno degli amministratori del partito fascista coinvolti in questa possibile scelta amministrativa. Pare che lo stesso Mussolini sia propenso ad approvare questa soluzione e si vocifera che, subito dopo il censimento generale della popolazione dell’aprile 1931, si possa procedere all’istituzione della nuova provincia. Tuttavia, arrivano anche, in forma ufficiale scritta, le prese di posizione contrarie dei due presidenti delle province di Milano e di Cremona, l’avv. Sileno Fabbri e il dott. Francesco Rossi, due personaggi di notevole spicco e di assoluto rilievo nel panorama istituzionale fascista di quegli anni.

Originario di Ficarolo (Rovigo), sansepolcrista e fascista della prima ora, di consolidata esperienza amministrativa e successivamente titolare di prestigiosi incarichi politici in ambito sanitario pubblico e assistenziale, autore di testi molto apprezzati, l’avv. Sileno Fabbri stronca in modo categorico l’ipotesi della nuova provincia, redigendo e pubblicando un fascicolo di una trentina di pagine: “Dell’ipotesi di ricostruire la provincia di Lodi-Crema”, Milano, 1931. Si tratta di uno scritto che contiene una serie di argomentazioni di ordine economico, organizzativo e burocratico molto ben espresse e di sicura presa mediatica, anche se forse, per taluni aspetti finanziari, non sempre munite della massima esattezza. Soprattutto, colpisce la perentoria premessa intesa a pregiudicare qualsiasi possibile discussione: la proposta viene tacciata di “municipalismo”, di “provincialismo” e di “campanilismo”, tutti elementi deteriori perché contrari alla “dottrina fascista”, in quanto “rappresentano contraddizioni con lo spirito e con le finalità del Regime”. Infatti, “la parola autonomia è un non senso nei confronti della dottrina fascista. Chiunque parla oggi di autonomie locali non è evidentemente permeato di una tale dottrina”. È un’accusa molto grave, la quale, da un lato, non tiene conto delle nuove province istituite in quegli anni dal fascismo ma che, dall’altro lato, espone i fautori dell’iniziativa alla pericolosa accusa di mancanza di fedeltà al regime e ai suoi fondamentali principi ispiratori.

Originario di Fossombrone (Pesaro e Urbino), laureato in giurisprudenza, già prefetto di Cremona dal 1922 al 1929, quindi presidente della locale camera di commercio, poi presidente di numerosi consorzi, commissioni ed enti pubblici, membro dei consigli di amministrazione del Credito Commerciale e della Pirelli, dal 1939 senatore su proposta di Roberto Farinacci, Francesco Rossi si oppone alla nuova provincia con le sue “Brevi considerazioni del Preside della provincia di Cremona intorno alla eventuale costituzione di una nuova provincia Lodi-Crema da crearsi con smembramento del territorio cremonese”, Cremona, 1931. Si tratta di un testo in cui la contrarietà dell’autore si basa soprattutto sugli aspetti di natura economica. Si paventano infatti forti costi aggiuntivi per l’erario e si ipotizza un “notevole aggravio fiscale” per i cittadini coinvolti, un argomento in realtà solo adombrato ma tatticamente di possibile buona presa sul pubblico uditorio. Non si nasconde comunque che “ove si dovesse sottrarre al territorio cremonese la zona cremasca, si verrebbe precisamente a togliere alla provincia di Cremona la plaga più produttiva”. Anche l’avv. Sileno Fabbri ammette, nel suo testo sopra indicato, che il Cremasco, nei vari equilibri economici all’interno delle due province, dà più di quanto non riceva, mentre per il Lodigiano vale l’opposto, per cui, anche per tale motivo, sarebbe poco conveniente, per questo territorio, staccarsi da Milano. Ovviamente, l’avv. Fabbri punta al risultato che più gli sta a cuore, quello di tutelare Milano rispetto a Lodi, ma va notato questo suo accenno al diverso rapporto di interessi economici esistente tra Cremona e Crema, un accenno che non rappresenta certo un argomento a favore del dott. Rossi nella sua tutela di Cremona rispetto a Crema. Le argomentazioni del dott. Rossi sono consultabili presso l’Archivio di Stato di Cremona, dove si trova il suo dattiloscritto di sedici pagine, datato 7 maggio 1931, con i riferimenti “Prefettura, Ufficio di Gabinetto, b. 104, f. 1.7.1”.

Entrambi i presidenti delle due province sono definiti “presidi”, seguendo la terminologia allora in uso. I loro testi contro l’iniziativa della nuova provincia vengono anche diffusi, quasi sempre attraverso la pubblicazione di brani a stralcio oppure di commenti e opinioni, sulla stampa locale lodigiana e cremasca, oltre che sui giornali principali dei due capoluoghi provinciali. Nell’estate del 1931, il dibattito sull’ipotesi dei nuovi assetti territoriali lodigiani e cremaschi si infiamma e anche all’interno dei vertici istituzionali nazionali e locali, così come all’interno delle gerarchie del partito fascista, a vari livelli, si formano due schieramenti contrapposti. Naturalmente, il podestà di Lodi, Luigi Fiorini, è in prima fila nel perseguire l’obiettivo della provincia Lodi-Crema. Attraverso incontri, dibattiti e articoli promuove con convinzione questo progetto, nonostante l’opposizione dell’avv. Fabbri e di gran parte dell’establishment fascista milanese. Nella riunione consiliare del 25 giugno 1931, Fiorini presenta alla consulta comunale di Lodi una sua dettagliata relazione a supporto dell’iniziativa della nuova provincia. La consulta approva pienamente la relazione del podestà e la posizione della città di Lodi diviene quindi ufficialmente e pubblicamente chiara a tutti: i Lodigiani, attraverso le loro istituzioni locali, chiedono il distacco dalla provincia di Milano e la formazione della nuova provincia Lodi-Crema. Infatti, “la consulta comunale di Lodi, in riunione 25 giugno 1931 A. IX ha approvato con plauso la relazione, facendo voti ne sia fatta ampia diffusione a mezzo della stampa, principalmente perché le Autorità e le popolazioni dei comuni interessati siano ricondotte, dopo le infondate allarmistiche argomentazioni contrarie (ci si riferisce qui allo scritto dell’avv. Fabbri, in particolare a certe sue affermazioni sui supposti aggravi finanziari dell’operazione, n.d.a.), ad una reale ed esatta valutazione dell’importante  problema”. La relazione di Fiorini viene sottoscritta anche dal vice podestà, l’ing. Ernesto Castellotti, e dal segretario capo, Eletti.

Costituita da una ventina di pagine, la relazione del podestà Fiorini risulta ben strutturata e validamente argomentata. Si parte dalle necessarie premesse di ordine storico e si giunge all’elenco delle menomazioni che Lodi ha dovuto subire dopo l’accorpamento alla provincia milanese: si tratta della perdita del Tribunale e della Corte d’Assise, della camera di commercio, della sede del reggimento di cavalleria (“che aveva dato il nome ad una gloriosa unità dell’Esercito”: si tratta del celebre reggimento Cavalleggeri di Lodi 15°, fondato già nel 1859, con R.D. del 25 agosto di quell’anno), dell’ufficio metrico, dell’istituto musicale Gaffurio e di altre importanti realtà cittadine, trasferite, perdute o ridimensionate. In realtà, la sede del reggimento di cavalleria non aveva più senso dopo lo scioglimento dello stesso, il 20 aprile 1920, con R. D. n. 451 (il reggimento sarà poi ricostituito, sia pure con funzioni e armamenti adeguati ai tempi successivi). La relazione stigmatizza anche le vicende e le modalità con cui si è venuto a creare il “deplorevole abbandono in cui per decenni e decenni la provincia di Milano ha lasciato il Lodigiano”. Accurata la disamina delle situazioni in cui le risorse economiche e le attenzioni istituzionali sono state indirizzate sul territorio milanese a discapito di quello lodigiano, dalle opere pubbliche alle attività assistenziali, dalle strutture sanitarie alle infrastrutture di comunicazione. A tal proposito, ci si riferisce anche alla recente soppressione, d’autorità, della tramvia Lodi-Crema-Soncino, istituita il 22 luglio 1880 e chiusa il 25 aprile 1931: un altro esempio delle scelte logistiche intese a privilegiare gli assi viari e ferroviari utili a Milano e Cremona, penalizzando le comunicazioni geografiche “in orizzontale” tra Lodi e Crema (e anche con Soncino e, poco più ad est, con il territorio bresciano).

Viene poi presa in esame “la relazione del preside della provincia di Milano”, quella cioè dell’avv. Fabbri, che viene puntualmente contestata e contraddetta. Soprattutto “le risultanze finanziarie secondo il preside della provincia di Milano” sono rigettate con argomentazioni precise e circostanziate. Il “castello di catastrofiche previsioni” economiche ipotizzate dall’avv. Fabbri “crolla dinnanzi alla evidenza inconfutabile di cifre basate sulla realtà”. In pratica, Fiorini evidenzia una sorta di terrorismo finanziario ad opera della controparte, con l’aggravante di un ingiustificato allarme nelle popolazioni lodigiana e cremasca a causa di indimostrati maggiori aggravi tributari a loro carico. Anche i dati sulla scarsa natalità nel territorio lodigiano, un aspetto molto rilevante in epoca littoria, utilizzato abbastanza strumentalmente dall’avv. Fabbri, viene confutato nella relazione, dati alla mano e in modo convincente. Le “conclusioni” poste al termine della relazione riassumono le considerazioni svolte, definiscono i tratti fondamentali e i vantaggi della nuova provincia, ribadiscono la non pertinenza delle osservazioni avversarie ed esprimono la “certezza che la ricostituita provincia, per le sue speciali caratteristiche, per le sue indubbie risorse, saprà non soltanto vivere di vita propria ma portarsi rapidamente nel novero delle più produttive e fiorenti province d’Italia”. La relazione del podestà Fiorini è consultabile presso la Biblioteca di Crema, con segnatura “Misc. B/723”. È anche reperibile da varie altre fonti, trattandosi di un’opera poi pubblicata a stampa: “Municipio di Lodi. Relazione alla consulta municipale di Lodi sulla provincia di Lodi e di Crema. 5 giugno 1931 - Anno IX E. F.”, Lodi, Tipografia L. Biancardi, 1931. 

Le interviste rilasciate alla stampa dal podestà Fiorini e la netta posizione della municipalità lodigiana alimentano un dibattito pubblico molto acceso. I giornali non rimangono certo indifferenti alle discussioni e la lettura di alcuni articoli dimostra ancor oggi quanto il tema fosse dibattuto, soprattutto su “Il Regime fascista” di Cremona, “L’Ambrosiano” e “La Voce di Crema”. Nel numero del 27 giugno 1931 de “La Voce di Crema” si può leggere una intervista molto significativa e inequivocabile rilasciata sia dal podestà di Lodi che dal podestà di Crema, Cirillo Quilleri. Le prese di posizione dell’avv. Fabbri e del dott. Francesco Rossi trovano ovviamente l’appoggio delle classi dirigenti milanesi e cremonesi, che a loro volta hanno il supporto di buona parte degli esponenti del partito fascista. Anche all’interno del partito esistono però voci favorevoli alla nuova provincia, sia a livello locale che nazionale. Come si è detto, corre voce che lo stesso Mussolini sia orientato in senso positivo al progetto. Si dice che il precedente ministro degli Interni, Luigi Federzoni, fosse già d’accordo sulla nuova provincia. Ma Federzoni, nel 1926, è tornato a fare il ministro delle Colonie, soprattutto a causa dei contrasti con l’ala più radicale del fascismo, guidata da Roberto Farinacci. Forse la sua nomina a senatore e poi, dal 1929, a presidente del Senato rappresenta un esempio del detto latino “promoveatur ut amoveatur”. In realtà, è probabile che la vicenda della ricostituzione della provincia Lodi-Crema si inserisca in un contesto politico molto più complesso, nel quale le forze in campo e gli attori coinvolti si muovono su una scacchiera piuttosto ampia e muovendo pezzi di vario genere e rilevanza. Ad esempio, diversi testi a stampa, numerosi contributi storiografici e anche alcuni articoli apparsi sul giornale “La Provincia” di Cremona nel 1955 inquadrano quelle dinamiche all’interno dei contrasti che, dalla metà degli anni Venti, oppongono Mussolini a Farinacci, il “ras” cremonese divenuto sempre più ingombrante per il Duce.

Agli articoli comparsi su “La Provincia” fa riferimento anche una pubblicazione dedicata alla figura dell’allora podestà di Crema: Romano Dasti, Francesca Manclossi, “Cirillo Quilleri, il Podestà scomodo”, Crema, Centro Ricerca Alfredo Galmozzi, Grafin, 2008. Si legge infatti alle pp. 75-76: “Sono articoli molto documentati e dettagliati, che inquadrano la vicenda dentro il contrasto endemico che, dopo il 1926, oppone Farinacci a Mussolini”. Si tratta soprattutto degli articoli pubblicati il 30 e il 31 marzo 1955. “I due articoli fanno parte di una più complessiva ricostruzione storica dei travagliati rapporti tra Crema ed il capoluogo, apparsa sul giornale tra marzo e aprile”. “Secondo il redattore della ‘Provincia’, quando lodigiani e cremaschi si mossero, avevano già l’avallo di Mussolini e di Federzoni”. “Vi si parla anche di amicizia personale tra Quilleri e Federzoni dai tempi della guerra”. “Molti degli articoli sono interessanti ma di difficile verifica”. In ogni caso, se anche la vicenda della nuova provincia faceva parte di quello scenario politico generale, va detto che Farinacci ottiene poi, su questo punto specifico, una vittoria. La sua tutela degli interessi di Cremona rispetto a Crema, come ora vedremo, sarà infatti non solo piena ma anche realizzata con una conseguenza drammatica.

Dopo aver trattato della posizione di Lodi e del suo podestà, eccoci dunque a Crema e a Cirillo Quilleri, il “podestà scomodo”, per usare l’espressione di Dasti e Manclossi nel titolo del loro libro. Nel senso, ovvio e palese, di “scomodo” per il “ras” di Cremona, Roberto Farinacci, vero regista della fase finale di questa vicenda, attraverso i suoi uomini di fiducia insediati a Cremona ma anche a Crema. La relazione del Questore al Prefetto di Cremona del luglio 1930, citata in precedenza, contiene anche chiari riferimenti alla ristrutturazione dei quadri del fascismo cremasco operata per volontà di Farinacci tra il 1929 e il 1930. In pratica, vengono messi in secondo piano diversi esponenti genuinamente cremaschi e arrivano soggetti fedeli a Farinacci, cosa che in sostanza corrisponde anche a una sostituzione di vari elementi legati all’area del fascismo moderato (a cui anche il podestà Quilleri appartiene) con personaggi vicini all’ideologia fascista oltranzista di Farinacci. Quando la relazione del Questore indica la “non sempre felice scelta dei dirigenti” fascisti come causa di disaffezione di Crema nei confronti di Cremona, non ci sono dubbi sul significato di tali affermazioni. Dicono Dasti e Manclossi, a p. 72: “è un cambio che porta ai vertici (si intende a Crema, n.d.a.) due elementi non cremaschi: il cremonese Lazzarini, come segretario del partito, e il friulano Paolo Azzi come capo della Milizia”. Infatti, “Antonio Trezzi, segretario politico dal 1927, stretto collaboratore di Quilleri fin dal 1922 in qualità prima di assessore e poi, dal ’27, di membro della consulta (giunta) cittadina, nel dicembre del 1930 viene ‘promosso’ a far parte del direttorio provinciale e sostituito da Italo Lazzarini, il capostazione di Crema giunto in città da Cremona sei anni prima, molto amico di Farinacci”. Lazzarini agisce da subito secondo le disposizioni impartite da Farinacci e si circonda di persone nuove e fidate. Il podestà Quilleri ha ora un problema: il fascio cremasco è adesso controllato da Farinacci non solo dall’esterno, da Cremona, ma anche dall’interno, da Crema, attraverso i suoi infiltrati. Quilleri ne è consapevole ma non è uomo facile da intimidire. Pagherà caro il suo coraggio.

Se il podestà Fiorini aveva elencato nella sua relazione le amputazioni istituzionali e i danni amministrativi causati da Milano a Lodi, anche Quilleri avrebbe potuto fare qualcosa di simile. Ad esempio, in applicazione del R. D. 24 marzo 1923 n. 601, il Tribunale di Crema era stato soppresso. La sua istituzione (in realtà, una rinnovata istituzione) era avvenuta nel 1862. Verrà ricostituito nel 1948. La sua chiusura dieci anni fa, nel settembre del 2013, rappresenta una macchia politica molto grave per coloro che allora avrebbero potuto e dovuto impedire tale chiusura e che, per ragioni di un certo genere, non l’hanno fatto. Ma torniamo alle menomazioni precedenti, quelle di epoca fascista. Nel 1926, in ottemperanza al R. D. del 21 ottobre di quell’anno, è soppressa la Sottoprefettura, anch’essa istituita nel 1862. Si è già detto della soppressione della tramvia Lodi-Crema-Soncino, la cui ultima corsa avviene il 25 aprile 1931. Sulla destinazione di risorse economiche pubbliche a favore di Cremona e del territorio cremonese, a discapito di Crema e del territorio cremasco, nel periodo fascista e soprattutto negli anni Trenta, molto si potrebbe scrivere e argomentare, anche da posizioni diverse e spesso opposte, ma non si ritiene, anche per motivi di spazio, di diffondersi oltre sull’argomento.

È in questa difficile situazione, in un momento piuttosto critico per lui e per Crema in generale, che Cirillo Quilleri prende posizione, a fianco di Luigi Fiorini, a favore della nuova provincia Lodi-Crema. I due podestà di Lodi e di Crema, a nome delle loro città e dei loro territori, sono uniti nell’impresa. Si tratta di uno dei pochi casi, nell’arco di un migliaio di anni, in cui Cremaschi e Lodigiani agiscono di comune accordo. Crema, che per secoli ha guardato a oriente, verso la Serenissima, ora guarda a occidente, verso Lodi (beninteso, fatte le debite proporzioni tra San Marco e San Bassiano). In parte guarda anche verso Milano, però con cautela. L’economia, gli affari, la cultura della realtà milanese hanno un’indubbia forza attrattiva. Ma i Cremaschi sanno che hanno un’identità e un senso di appartenenza molto spiccati da difendere, quindi stanno attenti a farsi migliorare dalla dimensione metropolitana milanese ma anche a non farsi assorbire dal capoluogo lombardo. Crema si era definita, prima degli scempi edilizi novecenteschi e dell’interramento dei suoi corsi d’acqua, una “piccola Venezia”. Ora non vuole diventare una “grande Paullo” (con tutto il rispetto per gli amici paullesi). Insieme a Lodi, quindi. Per lo meno, nell’estate del 1931.

Dicono ancora Dasti e Manclossi, a p. 75: “Quilleri, schierandosi a favore della nuova provincia, interpreta ‘l’unanime pensiero dei suoi concittadini’. Il quadro che il podestà di Crema delinea insiste sui vantaggi che questa provincia avrebbe: prima di tutto la maggiore vicinanza di Crema a Lodi (15 km) rispetto a Cremona (45 km) alleggerirebbe l’apparato amministrativo e burocratico della provincia; in secondo luogo la nuova provincia avrebbe maggiore omogeneità in campo agricolo, influendo positivamente sull’economia. Quilleri, esperto di finanze comunali, snocciola a sua volta dati precisi che dimostrerebbero che con la nuova provincia i cremaschi verrebbero a pagare meno tasse (non così i lodigiani). Da ultimo, in riferimento alle affermazioni del presidente della provincia di Milano, il podestà di Crema sottolinea che il trend demografico del cremasco è positivo (+ 9% nell’ultimo decennio): un ulteriore motivo per dar corso alla nuova provincia”. Si tratta di argomenti molto validi in quel periodo storico. Oggi il tema demografico sarebbe meno “spinto” rispetto ai tempi della propaganda fascista a favore delle famiglie numerose. E l’attuale esistenza nel Cremasco di una rete imprenditoriale fitta e ben diffusa di medie e piccole aziende, sia industriali che commerciali, invece che di pochissimi tutoraggi economici territoriali, potrebbe rappresentare uno spunto di riflessione non trascurabile, vista l’influenza di tale condizione economica strutturale su vari aspetti sociali, logistici, urbanistici e anche culturali. Inoltre, va detto che Quilleri non pubblica, come fanno Fiorini, Fabbri e Rossi, specifiche relazioni e memorie ufficiali a stampa ma si limita a precisare, in documenti municipali, interviste alla stampa e comunicazioni istituzionali a vari livelli, la sua chiara posizione.

Per Fiorini, il fatto di mettersi contro un personaggio molto accreditato e ben inserito politicamente come l’avv. Fabbri rappresenta di certo un rischio notevole. Ma a rischiare di più è Quilleri. Entrare in contrasto con una figura come il dott. Rossi è molto pericoloso. Ma è soprattutto il fatto di andare contro il potentissimo e pericolosissimo “ras” di Cremona, Roberto Farinacci, a costituire qualcosa, a quei tempi, di veramente temibile. Quilleri lo fa, sapendo che Farinacci farà di tutto per affossare l’iniziativa della nuova provincia. Sarà Farinacci, in effetti, il soggetto chiave dell’intera vicenda. Quilleri e Farinacci si conoscono molto bene, si sono frequentati spesso, di loro ci rimangono varie immagini insieme, in occasione di diversi avvenimenti politici, sociali, culturali, anche sportivi. I due sanno parecchie cose l’uno dell’altro, fatte ovviamente le debite proporzioni tra il piccolo podestà di Crema e il grande gerarca di Cremona, che in molti considerano il vero numero due del fascismo nazionale, secondo per importanza soltanto al Duce, nonostante i tentativi di Mussolini per circoscrivere, per quanto gli sia possibile, il raggio d’azione e l’influenza di Farinacci sul popolo fascista.

Nei mesi estivi è chiaro a tutti che la dinamica conflittuale tra i fautori della nuova provincia e i loro oppositori, guidati da un Farinacci sempre più irritato dall’iniziativa, potrà essere definita solo da Roma, cioè dal Duce o da qualcuno da lui delegato in proposito. Si presenta in quei mesi una situazione poco leggibile, in cui è difficile comprendere davvero le ragioni per cui il “vuolsi così colà dove si puote” si va a risolvere in senso favorevole a Farinacci. Si è detto quanto la partita tra il gerarca cremonese e il Duce si giochi su una scacchiera complessa e non sempre visibile ai più. Anche Dasti e Manclossi si limitano a notazioni necessariamente generiche, a p. 76: “Sta di fatto che Farinacci intraprende fin dalla fine di giugno un’azione decisa volta a impedire che l’iniziativa abbia successo, muovendo le sue pedine, sia a livello locale che nazionale. A livello locale si avvale del segretario del Pnf di Crema Lazzarini, capostazione in città, un cremonese devotissimo a Farinacci, e del prefetto Cambiaggio”. A partire dal mese di settembre, “la situazione precipita. È presumibile che nel frattempo Farinacci sia riuscito a far recedere Mussolini e Federzoni dal sostenere l’iniziativa e ora passi alla resa dei conti con Quilleri, il quale altrettanto avrà operato per sostenerla, ma senza successo. In una riunione del Rettorato provinciale (l’attuale Consiglio) alla fine di settembre il preside Rossi dichiara: ‘Mi consta da fonte autorevole che nessuna modifica sarà apportata al territorio della nostra provincia: cadono quindi tutte le nostre preoccupazioni in proposito’. È il segnale che ‘in alto’ la partita è chiusa, adesso vanno ‘regolati i conti’ sul territorio”. La dichiarazione consiliare di Rossi viene subito ripresa dagli organi di stampa. “La Voce di Crema” la riporta nel suo numero del 3 ottobre 1931. Nel corso del mese di ottobre, viene ufficialmente sancita la sconfitta dei Cremaschi e dei Lodigiani, guidati dai loro due podestà, e la vittoria dei Milanesi e dei Cremonesi, guidati dai loro due “presidi”. Senza il territorio cremasco, il territorio lodigiano non può, da solo, giustificare l’istituzione di una nuova provincia (diversi decenni dopo, tuttavia, non sarà più così e Lodi tornerà a essere capoluogo provinciale, senza Crema). L’eco di questa prova di forza e del suo esito finale arriva anche sulla stampa nazionale. Tutti gli Italiani sanno allora chi è il vero vincitore della contesa: Roberto Farinacci. Il Duce, questa volta, ha ceduto. Avrà altre occasioni e opportunità, successivamente, per prendersi le sue rivincite nei confronti del “ras” di Cremona. Intanto, della nuova provincia Lodi-Crema nessuno osa più parlare. Un silenzio assoluto cala sull’intera vicenda. Con certi poteri forti non si scherza. Finisce così il tentativo comune di Cremaschi e Lodigiani, senza troppe spiegazioni o delucidazioni, con un mero atto di autorità.

Questo articolo potrebbe finire qui. Forse però va aggiunto qualcosa su quanto succede successivamente, a Lodi e a Crema, riguardo alle rispettive velleità di autonomia provinciale. Si fa quindi cenno al fatto che, per i Lodigiani, tali velleità diventano poi un progetto ben strutturato e condotto, che giunge infine alla costituzione, tramite un decreto legislativo del presidente della Repubblica, il 6 marzo 1992, della provincia di Lodi. Vengono scorporati 61 comuni dalla provincia di Milano. Nello stesso anno, in un apposito referendum, l’89% degli abitanti di Codogno rifiuta la nuova appartenenza provinciale. Però il referendum non ne impedisce (come succede anche a Fombio) l’assegnazione alla nuova provincia di Lodi. Al contrario, altri comuni, come San Colombano al Lambro, Cerro al Lambro, San Zenone al Lambro e Dovera, riescono a vedere applicata la volontà popolare, restando nella provincia di appartenenza, cioè Milano (tranne Dovera, che resta in provincia di Cremona). Oltre che da un fattivo impegno e da una indubbia capacità realizzativa in tal senso, i Lodigiani sono anche favoriti dalle opportunità che la riforma delle autonomie locali del 1990 offre alle diverse parti d’Italia che ambiscono a raggiungere la propria autonomia territoriale amministrativa. Con la legge 8 giugno 1990 n. 142, si pongono infatti le premesse per un rafforzamento delle autonomie locali e si introduce un quadro normativo più favorevole al decentramento amministrativo. Anche la creazione di nuove province ne risulta, di fatto, avvantaggiata. La provincia di Lodi è infatti una delle otto nuove province che a quel tempo vengono istituite. Le altre sette sono quelle di Verbano-Cusio-Ossola, Biella, Lecco, Rimini, Prato, Crotone e Vibo Valentia. La provincia di Forlì viene rinominata Forlì-Cesena. Seguirà la riforma costituzionale del 2001, che modifica profondamente il titolo V, parte II, della Costituzione. Infatti, con la legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, la materia viene notevolmente innovata, sia pure con molti limiti e incoerenze. Non a caso, negli anni successivi a questa riforma si arriva a un’ulteriore rottura della coerenza degli assetti territoriali provinciali. Ad esempio, con il riconoscimento della competenza ordinamentale in materia di enti locali alle regioni a statuto speciale, la regione Sardegna costituisce nel 2001 le quattro nuove province di Olbia-Tempio, Ogliastra, Medio Campidano e Carbonia-Iglesias. Successivamente, le spinte localistiche per la creazione di nuove province portano il parlamento nazionale a istituire nel 2004 le tre nuove province di Monza e della Brianza, di Fermo e di Barletta-Andria-Trani. Si arriva così a 107 province, che in realtà sono 110, contando anche la “provincia-regione” a statuto speciale della Valle d’Aosta e le due province autonome di Trento e di Bolzano.

E a Crema? Dal 1931 a oggi, nulla di concreto, solo qualche borbottìo, qualche geremiade, qualche recriminazione. Sui motivi per cui, dal 1859 (in realtà, dal 1797), Crema sia incapace di un valido progetto di autonomia provinciale, la letteratura è sconfinata e si sprecano intere biblioteche. Insomma, meglio non avventurarsi, anche per motivi di spazio, in ulteriori considerazioni in proposito. In realtà, un’eccezione c’è stata. Nel 2001 si è formulata una proposta di legge per la creazione di una nuova provincia di Crema. L’iniziativa è presto fallita, per diverse ragioni. Si sarebbe trattato di 48 comuni, per un totale di circa 150.000 abitanti. Uno dei principali sostenitori del progetto non è stato peraltro un Cremasco ma un architetto e uomo politico originario di Codogno, formatosi in esperienze amministrative nel Lodigiano e poi deputato per alcune legislature: Andrea Gibelli. La vicenda di questo tentativo rimasto senza esito è contenuta in un suo libro, di circa centocinquanta pagine, dal titolo “La questione cremasca. Oltre la provincia”, Crema, Grafin, 2004. Poi, negli ultimi vent’anni, sull’argomento dell’autonomia provinciale cremasca è calato il sipario. Qualcosa di molto diverso e di meno destabilizzante per gli assetti territoriali amministrativi è invece quanto sta accadendo in termini di “area omogenea”. Ma qui il discorso porterebbe troppo lontano e sarebbe utile in proposito, quanto meno, un articolo a parte. Anche se certe tematiche presentano qualche “déjà vu”.

E che fine ha fatto Cirillo Quilleri, dopo la sconfitta inflittagli da Roberto Farinacci? Ha fatto una brutta fine, ovviamente. Subito dopo la chiusura del progetto della nuova provincia, il prefetto di Cremona, il comm. Luigi Cambiaggio, uomo di Farinacci, ordina un’indagine amministrativa a suo carico, di cui non si conoscono l’oggetto e le imputazioni ma di cui è subito evidente l’obiettivo punitivo. La cittadinanza cremasca esprime tutta la sua solidarietà a Quilleri, con lettere personali, articoli di giornale e manifestazioni pubbliche. Ma il 12 novembre 1931, proprio nel giorno del suo trentottesimo compleanno, Quilleri riceve da Farinacci un telegramma in cui il gerarca di Cremona lo informa seccamente di “aver accettato le sue dimissioni”, in realtà mai date dal podestà cremasco. Due giorni dopo, il 14 novembre, il prefetto Cambiaggio invia a Quilleri una comunicazione in cui dichiara di aver preso atto delle sue dimissioni, specificando che al suo posto è subentrato, in qualità di commissario prefettizio, il cav. Guido Armellini, altro uomo di Farinacci. Quilleri è quindi trattato in modo volutamente oltraggioso e sprezzante. Però non basta. Sempre il giorno 14, compare su “La Voce di Crema” un articolo non firmato, durissimo e molto offensivo nei riguardi di Quilleri. Le accuse nei suoi confronti sono tanto gravi quanto spregevoli e i Cremaschi ne sono indignati. Il testo di Dasti e Manclossi ne riporta la gran parte, alle pp.77-78. Questi autori (ma su ciò esiste una notevole concordanza di opinioni) ritengono che l’anonimo estensore dell’articolo sia molto probabilmente lo zelante Italo Lazzarini, su preciso incarico di Farinacci. Nell’articolo non si fa volutamente alcun cenno alla vera questione in campo, quella del progetto della nuova provincia Lodi-Crema. Una lunga sequela di frasi denigratorie e diffamatorie si sussegue pesantemente, sulla base di accuse tanto vaghe quanto insolenti, con toni insultanti verso Quilleri e lodi al “gagliardo e generoso fascismo cremonese, il quale si onora d’un capo spirituale che risponde al nome di Roberto Farinacci”.

Che l’articolo non contenga alcuna accusa fondata a Quilleri è chiaro a tutti, non solo a Crema. In città il podestà è da sempre molto amato e apprezzato. I seguenti giudizi su di lui provocano sdegno e riprovazione: “pernicioso elemento di disgregazione civile”, “disfattista”, con “un’educazione politica in arretrato di qualche secolo”, meno “italiano” di “un qualsiasi contadino” (una frase in contraddizione, tra l’altro, con la propaganda agricola fascista e con la successiva “battaglia del grano”), e via dicendo, pescando dall’usuale repertorio più retorico del fascismo. Per Quilleri è un colpo durissimo. Si sente leso nell’onore. Riceve da molti esponenti fascisti (anche dal podestà Fiorini) numerosi comunicati di stima e di solidarietà. Innumerevoli sono le attestazioni di affetto e gratitudine da parte di enti, associazioni, semplici cittadini. Dopo il passaggio di consegne da Quilleri al commissario prefettizio, avvenuto il 16 novembre, “Il Regime fascista” di Cremona, nel suo numero del giorno 17, si limita a pubblicare un trafiletto nel quale si comunica, in modo spudoratamente menzognero, che “in seguito a una crisi manifestatasi in seno alla consulta municipale di Crema, S. E. il prefetto disponeva che venisse eseguita un’inchiesta sull’andamento di quella amministrazione comunale. Il podestà venne invitato a prestare le sue dimissioni, ciò che egli fece”. Anche “La Voce di Crema”, il settimanale fondato proprio da Quilleri sei anni prima, nel suo numero del 21 novembre, dà la notizia delle dimissioni del podestà e riporta il trafiletto apparso su “Il Regime fascista” quattro giorni prima. La vicenda politica di Quilleri si conclude così, in modo drammatico.

Nello stesso giorno, 21 novembre 1931, si conclude anche la sua vita. “La Voce di Crema” del 28 novembre ne comunica il decesso: “Verso le 19, il cav. Cirillo Quilleri, mentre insieme alla propria consorte stava per uscire dall’abitazione della madre sua in via Alemanio Fino, accusava improvvisamente un grave malessere”. Salito in casa della madre, Quilleri ha disturbi visivi e difficoltà di respirazione. “Entrò in camera da letto. Ma ne aveva appena varcata la soglia, che si abbatteva al suolo. Un medico subito accorso tentava di apprestargli qualche cura, ma l’intervento sanitario doveva riuscire vano: il cav. Uff. Quilleri era morto per insufficienza cardiaca”. Sulle reazioni della cittadinanza cremasca contro Lazzarini e Farinacci, sulle esequie solenni tributate a Quilleri, con un’enorme partecipazione da parte della popolazione, sul successivo terremoto politico nel fascio locale e sulle conseguenze di quello che in molti (anche in modo ufficiale, come fa pubblicamente il fascista “ing. Guido Guerra, combattente decorato squadrista”) definiscono un vero e proprio “omicidio” di Quilleri da parte di Farinacci, si rinvia al testo di Dasti e Manclossi, nella sua parte finale, da p. 82 in avanti. Le spoglie mortali di Cirillo Quilleri riposano nella cappella di famiglia presso il cimitero maggiore di Crema.

Pietro Martini


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commenti


michele de crecchio

1 marzo 2023 17:07

Sapevo, genericamente, qualcosa della intera singolare vicenda. Ora, con questo, credo esaustivo, contributo, le idee, in materia, mi si sono di molto chiarite. Grazie.

Pietro Martini

2 marzo 2023 14:49

La ringrazio per il commento e mi fa piacere che questo contributo possa esserle stato utile.