15 gennaio 2024

"Quand al venerdé se mangiàva de màagher". Il merluzzo fritto e "el gösa fer"

Un tempo il venerdì era giorno di magro. Era il giorno in cui bisognava "mangiàa de màagher", astenersi dal mangiare carne e grassi perchè si ricordava in qul giorno la morte di Cristo. L’astinenza dalla carne risale all’Antico Testamento. Un modo per rinunciare a qualcosa che piace, in modo da combattere le tentazioni e favorire così il ‘dominio spirituale’ del corpo. Precetto della chiesa cattolica, si è concentrato proprio il venerdì in quanto giorno della Passione di Cristo. E’ una pratica che va osservata dai fedeli soprattutto durante la Quaresima. Un vecchio proverbio cremonese dice: "Chi rìt de venerdé caràgna la dumènica"

Il rito del magro al venerdì è ben descritto nel libro "la crema di Crema", scritto da due sacerdoti cremaschi: Pier Luigio Ferrari e Marco Lunghi. Eccolo:

Era la giornata definita 'l venerdé da magre con l'evidente riferimento alla disciplina ecclesiastica che imponeva una astinenza dalle carni e dai grassi nel giorno in cui si ricordava la morte del Signore. Per questo l'obbligo si era radicato profondamente nella sensibilità e nella coscienza della gente, tanto da diventare acquisito costume sociale, scrupolosa preoccupazione domestica e oggetto di esame di coscienza e di accusa sacramentale: "G'o mangiat da gras al venerdi","I me i vol mia saìghen da mangià da magre", "g'o tastat na quai fetina da salam".

Non di rado, attraversando i cortili di campagna o lungo i vicoli cittadini all'ora dei pasti, capitava di avvertire il tipico odore di pesce: olezzi dei fritti, quali 'l merlös co le sigole, pes da fos o da Sère rüstic an padèla, oppure l'agro sentore della bisèta o dei pesì 'n rosa, gli effetti oleosi di pesce marinato in scatola, quali al tu, i sgombri, le sardèle, i saràch. Nella bella stagione anche le uova costituivano un'ottima alternativa di circostanza nelle forme più diverse: fritada coi spinas o coi suchì, j' of coc, of e zermòj e l'insuperabile cereghì, che con la sua musicale friggitura finiva per costituire un piacevole andante con moto verso un avido pasto alla portata di tutti e una trionfale puciada fino a lasciare 'l tunt löstre cumè 'n spèc.

Tra i classici cibi di magro assumeva un'importanza particolare il formaggio nelle sue diverse qualità e applicazioni. Tra questi spiccavano il nostrano Salva, recentemente tornato in auge per la particolare procedura della lavorazione, il non meno famoso Grüéra, attribuito popolarmente a un mitico "ingegner Güéra, inventor del formaggio coi buchi" che secondo la tradizione popolare "viveva a Bordighera tra conti, marchesi e granduchi" , per non dire del colorito e piccante Gurgunzóla. Era questo prodotto definito volgarmente strachì alburinat ed aveva la peculiare caratteristica di sviluppare consistenti parassiti che traevano vigore da una insufficiente conservazione frigorifera, ma che il rustico commensale affrontava con grande disinvoltura, magari nella diffusa convinzione che fossero forieri di non ben precisati effetti salutari, giudizio questo in anticipo sulla scoperta di recenti efficaci muffe antibiotiche. Se mai il nostro lettore avesse bisogno di ulteriori chiarimenti, ricordi che alla semplice osservazione volgare le capacità semoventi del prodotto potevano strappare in passato l'entusiastica espressione: "Chèsto ché al va 'n piasa 'n da per lü!".

Le applicazioni culinarie di questi latticini costituivano a loro volta un interessante capitolo dell'inventiva popolare che raggiungeva talvolta composizioni a dir poco barocche: pulenta Gurgunzóla, cücömer e strachi, Salva co le tighe.

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Ed ecco due ricette su piatti tipici del venerdì di magro cremonese: il merluzzo fritto e "el gösa fer". Di Gian Carlo Duranti da "Della suavità di sapori nella cucina rustica cremonese"

MERLUZZO FRITTO

Ingredienti e dosi per 4 persone: 800 gr. di merluzzo ammollato (gadus pollachius) - 1 uovo - farina bianca, olio di semi di mais per friggere, q.b. -

Spinate il merluzzo ammollato, asciugatelo, passatelo nell'uovo sbattu-to, poi nella farina bianca, e fatelo soffriggere in abbondante olio di semi bollente. Quando sarà ben dorato da una parte e dell'altra, levatelo con una paletta forata, posatelo su una carta assorbente per alimenti, poi servite con spicchi di limone.

 

"GÖSA FER"

Ingredienti e dosi per 4 persone: 800 gr. di sardelle (sardina pilchardus) o aringhe (clupea harengus) fresche - 1 cipollina a fettine - 4 spicchi d'aglio - 4 foglie d'alloro - 20 gr. di foglie di prezzemolo tritato - aceto di vino branco q.o. - pepe - sale -

Lavate e squamate le sardelle (o le aringhe), sventratele, privatele della testa, spinatele e apritele senza dividere le due parti. Fate friggere le sardelle (o le aringhe), precedentemente passate nella farina bianca, per pochi minuti in olio bollente, poi levatele e disponetele in una terrina.

Nell'olio rimasto, eventualmente con l'aggiunta di altro, fate dorare la cipollina a fettine e gli spicchi d'aglio interi. Togliete dal fuoco, aggiungete le foglie d'alloro, prezzemolo tritato, aceto di vino bianco a piace-re, pepe, sale. Versate il liquido ancora caldo sul pesce fritto e lasciate riposare almeno 12 ore prima di servire.

La foto di Ezio Quiresi, la "dirlindana" a Spinadesco 1951


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