6 febbraio 2024

"Gòo i barbìis sòta al nàas, e la frìtula la me piàas". Il dolce del Carnevale cremonese. "I bumbunsin" del casalasco

"Gòo i barbìis sòta al nàas

e la frìtula la me piàas".

Così i bambini di un tempo, mascherati con quanto si trovava in casa, passavano a bussare nelle case a gruppi gridando la rima e ricevendo in cambio di dolci di Carnevale. Già perchè le frittelle (le frìtule), insieme alle latüüghe, ai bumbunìin e ai camàandoi, ai bariguléen rappresentano la nostra tradizione dei dolci di Carnevale. Addirittura il Museo del Lino di Pescarolo (ripreso poi da Luciano Dacquati) testimoniò addirittura le "mascheràade" di un tempo nelle piazze o nelle stalle che avevano per soggetto le frìtule. Ecco la "mascheràada dèla frìtula", antichissima, dove un solo giovane mascherato si metteva in mezzo alla gente e declamava. 

"Sùuntum àla féen de Carnevàal,

a pretèender vergòta ghè nièent de màal,

balàa sò mìia,

de teàter m'intèendi mìia,

quindi làsi sòon, càant e bàai

ai regàs e àle donzèlle

e me cuntèenti 

de 'n piàt de fritèlle"

Dunque le frittelle sono nella tradizione cremonese. Da sempre però si associa la frittella con Venezia (le frìtoe). Sì perchè Venezia e la fritola dal 1200 circa, sono un tutt'uno. I veneziani ne hanno fatto un loro simbolo: nelle pasticcerie lungo i canali, nelle vetrine delle fornerie dei calli se ne vedono di tutti i tipi: lisce, con lo zabaione, con le mele, con la crema pasticcera. C'erano addirittura baracche attrezzate per friggere le frittelle con grandi padelle che poi venivano esposte su piatti decorati di stagno o di peltro. Ma non tutti sanno che, come per il torrone o i marubini, anche le frittelle hanno origini cremonesi. L’accademia della cucina veneziana lo ha certificato qualche anno fa. La frittella, la fritùla in cremonese, è stata portata in laguna da Giambonino da Cremona, medico e studioso di fine 1200.  Nel 1262 è rettore all’Università di Padova della facoltà di fisica e scienze naturali. Cremona era la capitale delle traduzioni  dei libri dall’arabo. Giambonino, forse originario di Gazzo di Pieve San Giacomo sulla via Postumia,  aveva composto  a Venezia un libro, “Liber de Ferculis ed condiments”, traduzione  latina di 83 delle 2170 voci della monumentale enciclopedia dietetico-gastonomica del medico iracheno Ibn Jazla di Baghdad. Ebbene secondo i veneziani la frittella sarebbe l’evoluzione della “zelabia” araba persiana fatta conoscere ai veneziani da Giambonino da Cremona e in laguna si innamorarono subito del dolce di carnevale, tanto che i “fritoleri” nel Seicento crearono persino una corporazione (un centinaio di iscritti), tramandando i segreti del fritto di padre in figlio, veri e propri maestri dell’olio, del burro e dello strutto. Un po' di sano campanilismo, almeno in cucina, non guasta.

Ed ecco la ricetta della frittella cremonese da "Cui pée sòta 'l tàaol":

INGREDIENTI: 500 grammi di farina, 60 grammi di burro, 60 grammi di zucchero, 8 uova, mezzo litro di acqua, un po' di sale, un cucchiaio di rhum, zucchero a velo.

PREPARAZIONE: Con la farina, il burro, lo zucchero e l'acqua si fa una polentina che si farà cuocere per 5 minuti circa. Si lascia raffreddare e poi, una alla volta, si aggiungono uova. Si merscola a lungo e si lascia riposare per un'ora. Si dà un'ultima rimescolata e poi si getta il composto a cucchiaini nell'olio o nello strutto bollente., badando di non tenere la fiamma troppo alta.

BUMBUNSIN:

Ma c'è un'altra tradizione del Carnevale  che arriva dal casalasco, più precisamente da Scandolara Ravara, raccolta qualche tempo fa dal GAC e dal titolo "Vita di campagna ai temp di nost vecc". Si racconta nel primo fascicolo del gruppo che il giorno di Sant'Antonio segnava anche l'inizio del periodo di Carnevale. Le massaie pertanto cucinavano intere ceste di "bumbunsin" ("boumbunììn" altrove nel cremonese e "boumbunéen" a Cremona città), cotti prettamente in casa e in epoca più recente al forno, che accompagnavano la famiglia per tutto il Carnevale e a volte anche per tutta la Quaresima. Tra i ricordi dell'infanzia ci sono le donne con grandi ceste che si recavano nei due forni del paese (da Eno alla Ravara e dalla Lina e Algorante in piazza) a cuocere i dolci. Nelle famiglie si tramandano da generazioni gli appositi stampi di metallo con le varie forme (stelle, cerchi, triangoli, angeli). 

INGREDIENTI: un kg di farina, 300 grammi di strutto, 350 grammi di zucchero, 3 uova intere e 5 tuorli, buccia grattugiata di limone e lievito in polvere

PREPARAZIONE: Disporre la farina a fontana e unire gli altri ingredienti. Amalgamare bene il tutto e fare una sfoglia alta 1-2 centimetri. Ritagliare in varie forme (meglio se si usano gli appositi stampi) e mettere in forno caldo per 30 minuti circa.

 

M.P.


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